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La pace su impervi sentieri

Laura Silvia Battaglia
13 settembre 2022
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La pace su impervi sentieri

Come la guerra, anche la pace ha le sue dinamiche. Non è mai in equilibrio stabile e per riconquistarla, quando s'è persa, servono determinazione, conoscenza e molta molta concretezza. Storie di operatrici e operatori di pace giunti alla meta.


Lavorare in guerra per ottenere la pace si può. E non è speranza utopistica di anime belle. È piuttosto un lavoro quotidiano, certosino, rischioso ma essenziale. Un lavoro di cui si parla poco, portato avanti spesso da uomini e donne invisibili che, probabilmente, non riceveranno mai il Nobel per la pace. Proprio per questo, e in tempi storici che inneggiano a cause belliciste, il saggio di Elena L. Pasquini è più che necessario, soprattutto perché, partendo dal particolare per arrivare all’universale, dimostra cosa significhi essere pacifista: utopista sì, ma con concretezza, molta concretezza.

Le parole chiave di tutte le storie raccontate nel libro sono: accordo, tregua, dialogo, negoziazione, riconciliazione. Alle quali si aggiunge una tecnica, una meccanica per raggiungerle. Oltre a una buonissima dose di profonda conoscenza dei singoli conflitti, delle popolazioni, delle culture che si scontrano e combattono, proprio per avvicinarle progressivamente a una soluzione condivisa. Scrive Pasquini: «La pace non è un cessate il fuoco e neppure un accordo. E non è data per sempre. Una pace possibile è fatica, impegno incessante, vigilanza, anche quando sembra raggiunta o scontata. E la risoluzione dei conflitti armati è il più logorante dei lavori».

Sembrano averlo capito anche gli europei, in questi sette mesi di conflitto tra Ucraina e Russia, dopo decenni in cui le guerre in atto dalle opinioni pubbliche del Vecchio Continente erano sempre considerate come guerre «degli altri». Proprio alcune «guerre degli altri» qui sono prese ad esempio, perché si tratta di conflitti cessati solo grazie ad abili negoziatori, persone coraggiose, rappresentanti della società civile che hanno buttato il cuore oltre l’ostacolo, immaginando l’inimmaginabile e ottenendo anche più di quanto sperato.

Così, nel libro colpisce la vicenda della colombiana Juanita Millàan Hernandez, attrice chiave nella risoluzione del lunghissimo conflitto tra l’esercito governativo e le Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Un processo lungo, paziente, difficoltoso, dal quale s’imparano almeno due cose: che il linguaggio tecnico della pace, quello internazionale, suggerito dalle Nazioni Unite (peacebuilding, conflit resolution) non può essere tradotto alla lettera ma deve essere adattato alle lingue, alle percezioni, ai costumi locali, cosa che Juanita ha fatto, discostandosi dai protocolli più rigidi, per ottenere il risultato sperato. La seconda è che per ritrovarsi a un tavolo di pace bisogna fidarsi. Bisogna credere che il nemico non sia più tale, che sia simile a te, che non ti farà più del male, che non avvelenerà il tuo desiderio di tregua.

Questa lezione di pace e di vita si respira in tutto il libro e in tutte le esperienze descritte: dalla Sierra Leone al Camerun, dal Congo al Burundi, e soprattutto nei conflitti subsahariani, chi è riuscito nell’intento della pace è un uomo o una donna che ha smesso di pensare in termini divisivi, in un noi-contro-loro: hanno deposto le divisioni etniche nate dal divide et impera coloniale e hanno ricostruito la fiducia nelle e tra le comunità.

Da leggere con attenzione sono le storie di due mediatrici contro il mercato delle armi, dall’artiglieria leggera alle armi nucleari: la yemenita Awfa al-Naami e la svedese Beatrice Fihn. Entrambe giganteggiano nella loro lotta contro il potere dell’industria della morte e dei suoi sostenitori. Per entrambe non si tratta di essere delle don Chisciotte contro i mulini a vento: la prima è riuscita a disarmare buona parte delle comunità del Sud dello Yemen e a riportare migliaia di bambini a scuola; la seconda, direttrice esecutiva della Campagna Internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (Ican), è riuscita ad ottenere la firma di molti leader mondiali sul trattato di abolizione delle armi nucleari. Questo sì, è un caso di meccanica della pace che ha ricevuto il Nobel per la pace nel 2017.

Oggi, più che mai necessario ricordarlo di fronte a leader della politica mondiale che esaltano, al contrario, la meccanica della distruzione globale.


Elena L. Pasquini
La meccanica della pace
ed. People, 2022
pp. 224 – 16,00 euro

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