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Larsa, paradiso degli archeologi

Giulio Carulli
14 gennaio 2022
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Larsa, paradiso degli archeologi
Dettaglio di un cilindro di terracotta con caratteri cuneiformi proveniente dagli scavi archeologici di Larsa, in Iraq. (foto Osama Shukir Muhammed Amin / Wikimedia)

Per gli studiosi dell’antica Mesopotamia non c'è forse posto migliore al mondo ove scavare e indagare. Larsa è tra i più vasti siti archeologici dell'Iraq. Vi lavorano missioni francesi, americane, inglesi, tedesche e italiane.


È un’antica città babilonese, situata all’estremità della regione desertica che sta fra l’Eufrate e lo Shatt el-Qār. Proprio al deserto Larsa deve il suo toponimo in sumero: Arar(ki), «dimora del Sole». Citata nell’Antico Testamento come Ellāsār, oggi è chiamata Senkereh. Deve il nome di Larsa all’omonima dinastia, che la fece diventare capitale di un piccolo Stato, dal 2187 al 1901 a.C., anno in cui fu incorporata definitivamente nell’impero babilonese.

Inutile dire che, in forza di questa storia millenaria, la zona è una delle più interessanti del Medio Oriente dal punto di vista archeologico.

Tra i segni di un clima più disteso in Iraq, dopo decenni di guerra intestina e di scorribande sanguinarie da parte delle varie formazioni fondamentaliste islamiche, Isis in testa, va registrato il ritorno delle missioni archeologiche internazionali. Attualmente sono al lavoro nel Paese missioni francesi, americane, inglesi, tedesche e italiane.

«Larsa è uno dei più grandi siti in Iraq, si estende per oltre 200 ettari», spiega Regis Vallet del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica, a capo della missione franco-irachena che sta scavando a Larsa. Tra le scoperte più significative, la residenza di un sovrano, identificata grazie alla decodifica di circa 60 tavolette cuneiformi, ora trasferite al Museo nazionale di Baghdad.

Quasi un giardino delle delizie

Vallet non ha dubbi. L’area tra l’Eufrate e lo Shatt el-Qār, è un «parco giochi archeologico», un vero e proprio «paradiso» per gli studiosi dell’antica Mesopotamia.

Gli archeologi italiani sono presenti nell’area dell’Eufrate dal 2011.

Gli studiosi dell’Università di Pisa in collaborazione con i colleghi dell’ateneo di Siena e gli iracheni di al-Qādisiyyah, hanno trovato a Tell as-Sadoum, non lontano da Najaf, un centinaio di frammenti con testi cuneiformi databili all’inizio del II millennio a.C., oltre a un ricco repertorio ceramico e a più di novanta «cretule», cioè blocchetti di argilla con impronte di sigillo o corda applicate a chiusura di contenitori. Il sito è stato identificato con Marad, una antica città della Mesopotamia meridionale. In particolare, gli scavi hanno riguardato l’acropoli e due quartieri, uno residenziale e l’altro produttivo dove sono stati rinvenuti gran parte dei testi e delle cretule.

Tavolette per contabili

Spiega Anacleto D’Agostino, docente di Archeologia del Vicino Oriente all’Università di Pisa e coordinatore del progetto: «In generale le tavolette testimoniano la ricchezza e vivacità della vita economica e amministrativa delle antiche città della Mesopotamia e ci parlano spesso di transazioni contabili, questioni amministrative e giuridiche. Quelle che abbiamo trovato, di epoca paleobabilonese, contengono contratti di compravendita e lettere, e menzionano i nomi di sovrani, elementi di datazione e forse il riferimento ad alcune città».

Il ritorno delle missioni archeologiche internazionali, una decina quelle ora attive solo nell’area di Larsa, rappresenta una doppia opportunità per l’Iraq. Da una parte, crea attenzione a livello di opinione pubblica sulla realtà del Paese. Dall’altra, spiega il direttore delle Antichità e del patrimonio iracheno, Laith Majid Hussein, «la presenza di tanti studiosi stranieri ci avvantaggia scientificamente, perché ci offre l’opportunità di formare il nostro personale dopo l’isolamento e gli anni bui della guerra».

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