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Amman cerca di tornare in gioco

Paola Caridi
1 dicembre 2021
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Marginalizzato da Donald Trump, re Abdallah II di Giordania confida molto nella nuova presidenza di Joe Biden per recuperare terreno. Ma altri ostacoli – più o meno interni – si parano sulla sua strada.


È in corso una stagione diplomatica intensa per re Abdallah II. Una vera e propria offensiva che, a quanto sembra, ha come obiettivo rimettere in gioco la Giordania negli equilibri della regione. Marginalizzato da Donald Trump, che attraverso il trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme e gli Accordi di Abramo voleva spostare l’asse da Amman al Golfo, re Abdallah II confida molto nella nuova presidenza di Joe Biden, con il quale si è congratulato lo scorso luglio, primo governante arabo a essere ricevuto alla Casa Bianca.

Non è, però, tutto semplice per il re hashemita. Le questioni aperte iniziano già dentro le stanze del palazzo reale di Amman. È ancora, infatti, lungi dall’essersi diradata l’ombra lunga del presunto colpo di Stato dello scorso aprile che aveva coinvolto lo stesso fratellastro del re, il principe Hamzah. Le due figure più importanti accusate di aver ordito il complotto sono state condannate lo scorso luglio a 15 anni di carcere: si tratta di figure di rilievo, come Sharif Hassan bin Zaid, membro della famiglia reale, a Bassem Awadallah, imprenditore e già consigliere della casa hashemita. Awadallah, però, è anche cittadino statunitense, e questo complica le cose, come dimostrano l’attenzione sull’iter giudiziario e le condizioni del detenuto che hanno le autorità americane. Il principe Hamzah, poi, sarebbe ancora agli arresti domiciliari dentro il palazzo reale, come si evince da un recente tweet della regina madre Noor, vedova di re Hussein, che ne auspica la liberazione.

Sulla sedizione fallita si è poi recentemente innestato il caso delle proprietà immobiliari di re Abdallah tra Usa e Regno Unito, proprietà per un valore totale di cento milioni di dollari acquistate nel corso di una quindicina d’anni. Il nome di re Abdallah è uno dei più noti tra quelli di 35 leader rivelati dal Consorzio internazionale di 600 giornalisti investigativi che si sono occupati dei cosiddetti Pandora Papers, un corpus di quasi 12 milioni di documenti che scoperchiano, appunto, il vaso di Pandora dell’economia sommersa nei paradisi fiscali. Un altro duro colpo all’immagine di re Abdallah, in anni che per Amman sono già stati segnati da una dura crisi economica e dal peso della massa di rifugiati siriani e iracheni ospitati in Giordania. Il re giordano è dunque impegnato da mesi in un intenso tour diplomatico, da Washington al Qatar, da alcune capitali europee a Mosca, sino agli incontri con gli esponenti del nuovo governo israeliano, compreso il premier Naftali Bennett.

Quest’ultimo incontro sembra rivelare alcuni cambiamenti importanti, con l’aumento, quasi il raddoppio, della fornitura di acqua che Israele vende alla Giordania, colpita da estrema siccità. A questo si aggiunge l’accordo che porta le esportazioni giordane alla Palestina da 150 milioni di dollari all’anno a oltre 700 milioni. Gli accordi economici non risolvono, però, le profonde questioni politiche, in primis Gerusalemme.Sul quasi-golpe di palazzo dell’aprile scorso ad Amman le speculazioni sono state tante. La più interessante riguardava la possibilità di emarginare sempre di più la Giordania, custode dei Luoghi santi di Gerusalemme. E di intravvedere un futuro in cui, ad avere voce in capitolo sulla Spianata delle moschee, potesse essere l’Arabia Saudita. Un futuro in linea con la visione trumpiana, di Jared Kushner e di una certa parte della politica israeliana.

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