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Caritas Baby Hospital, un addio sofferto e grato

suor Lucia Corradin
16 novembre 2020
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Caritas Baby Hospital, un addio sofferto e grato
Suor Lucia, suor Erika e suor Gemmalisa, le elisabettine che si apprestano a lasciare il Caritas Baby Hospital di Betlemme.

Stanno per lasciare definitivamente Betlemme le suore elisabettine da decenni presenti al Caritas Baby Hospital. I loro sentimenti a poche settimane dalla partenza.


Al Caritas Baby Hospital di Betlemme – l’ospedale di medicina pediatrica caro a molti pellegrini in Terra Santa – si concluderà nel gennaio 2021 l’esperienza delle suore terziarie francescane elisabettine, durata quasi mezzo secolo. Le tre religiose attualmente presenti nell’ospedale rientreranno a Padova, dove si trova la casa madre dell’istituto fondato nel 1828 da Elisabetta Vendramini, per poi essere destinate altrove. Suor Lucia, una di loro, firma da tempo una rubrica sulla rivista Terrasanta e nel numero di novembre-dicembre dà voce ai sentimenti che stanno nel cuore delle elisabettine a poche settimane dal distacco. Anticipiamo il testo qui, accompagnandolo con il nostro grazie e i nostri auguri a suor Lucia, suor Gemmalisa e suor Erika.

***

Le prime suore francescane elisabettine arrivarono al Caritas Baby Hospital di Betlemme 45 anni fa, ed ora, in nome dell’obbedienza, siamo chiamate a lasciare sia l’ospedale che la Terra Santa. In questi anni, molte sorelle si sono succedute in questo servizio unico, ognuna offrendo quel patrimonio di umanità, di competenza, di spiritualità che portava con sé, come mattone indispensabile per la vitalità dell’opera. Parecchie cose sono cambiate negli anni, l’ospedale stesso è stato completamente ristrutturato e ampliato, ma soprattutto qualificato. Se l’aspetto strutturale è ciò che balza immediatamente allo sguardo, non meno significativa negli anni è stata la formazione e la qualificazione del personale a tutti i livelli che un occhio competente sa cogliere ed apprezzare. Io sono arrivata 18 anni fa e cercherò di riassumere i tratti salienti di questo vissuto. Innanzitutto provo un senso di profonda gratitudine nell’essere stata a Betlemme e nell’aver avuto la grazia speciale di servire i piccoli ed indifesi come appunto i bambini malati e le mamme, proprio qui dove Dio si è fatto bambino indifeso, bisognoso di cure e di affetto. È stato, è e resterà un dono speciale.

In questi anni ho vissuto con diverse sorelle e di diversa provenienza e la vita fraterna mi ha allenata ad imparare ad accogliere ciascuna in modo incondizionato con le sue gioie e fatiche, con i suoi successi e fallimenti. Si impara a volere bene, perdonando, ricominciando ogni giorno e fidandoci del Signore. Il servizio in ospedale mi ha permesso di fare esperienza continua e sempre unica della maternità, sperimentando come il Figlio di Dio  si fa tutt’uno con l’umanità vivendo nella Sua carne ogni passione, croce, morte e facendo risorgere alla vera vita ogni morte, lutto, distacco.

Ricordi indelebili. Lavorando con il personale mi ha sorpreso il senso dell’ospitalità, la benevolenza, l’aiuto reciproco, quel saper essere resilienti e accoglienti di fronte agli eventi della vita… Quel Al- hamdu lillah («Rendiamo lode a Dio») ripetuto costantemente, che mi provoca ad essere grata di tutto ciò che sono e ho, perché donato.

Ma c’è un’altra rete di conoscenze e di contatti che sono la mano della Provvidenza: i gruppi di pellegrini che hanno conosciuto e visitato il nostro ospedale. La loro provenienza delinea una mappa che punteggia tutta l’Italia.  Momenti impegnativi, intensi, stimolanti quelli trascorsi con molti di loro nell’offrire la testimonianza in questa realtà ospedaliera e in questo contesto sociale. Per grazia ho conosciuto dei volontari che hanno regalato competenza, professionalità, amicizia al nostro personale, dei religiosi e religiose con i quali ho intessuto belle e profonde relazioni di amicizia. Non posso dimenticare poi la varietà e la complessità del mondo religioso, con i suoi diversi credi e riti, la problematicità del mondo politico e l’interminabile conflitto tra Palestinesi e Israeliani: una realtà complessa e nello stesso tempo impegnativa da comprendere e da vivere nella sua provvisorietà.

Mi sento privilegiata per questa ricchezza. E ovunque l’obbedienza mi condurrà continuerò a cantare quel ritornello che dice: «Non potrò tacere o mio Signore i benefici del Tuo Amore».

Non posso nascondere la nostra sofferenza e fatica nel lasciare la Terra del Santo, ma abbiamo la certezza che ciò che è stato seminato porterà frutto.

A tutti gli amici e non sono pochi, che abbiamo incontrato e conosciuto un grande grazie: le vostre storie sono sigillate nelle nostre vite e vi porteremo con noi sempre.


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