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ll digitale salva le biblioteche di Gerusalemme

Giulia Ceccutti
23 giugno 2020
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Un ateneo cattolico del Minnesota (Usa) si è messo a disposizione di varie biblioteche storiche della Terra Santa per la digitalizzazione del loro patrimonio librario più prezioso. Il benedettino Columba Stewart coordina il progetto.


Conservare, trasmettere e diffondere il sapere può essere – anche – un modo per costruire ponti di conoscenza e fiducia reciproca tra cristiani e musulmani. Lo testimonia, in Terra Santa come in altri Paesi, il lavoro dell’Hill Museum and Manuscript Library (Hmml), organizzazione non profit con sede a Collegeville, in Minnesota (Usa), presso la Saint John’s Abbey and University, realtà che è già riuscita a salvare dalle guerre, dal deterioramento e dalla furia distruttiva del fanatismo oltre 300 mila testi antichi rendendoli disponibili in formato digitale e microfilm. L’obbiettivo è creare la più completa collezione digitale di manoscritti antichi – cristiani e musulmani, scientifici e filosofici – e renderla accessibile on line a tutti gratuitamente.

A capo dell’impresa c’è padre Columba Stewart, monaco benedettino statunitense che gira il mondo avviando contatti e guadagnando la fiducia di interlocutori differenti – ordini religiosi, biblioteche, fondazioni e singole famiglie – al fine di preservare manoscritti unici.

Tra le biblioteche della Città Santa

«A Gerusalemme abbiamo iniziato nel 2011 con un progetto in ambito cristiano – spiega padre Stewart – e ben presto ci è giunta la richiesta di lavorare con una delle famiglie musulmane più importanti della città. Abbiamo accettato perché la comunità cristiana e quella musulmana qui hanno vissuto fianco a fianco per secoli, così come le loro biblioteche. Le quali non sono che una parte di un patrimonio intellettuale più ampio che deve ancora essere documentato nella sua interezza, a differenza di quello ebraico. Quasi tutti i manoscritti ebraici del mondo, infatti, sono stati già fotografati da un progetto della Biblioteca nazionale d’Israele».

Sono finora sei le collezioni già digitalizzate con l’aiuto di tecnici locali: quella del monastero siriaco ortodosso di San Marco, il patrimonio della chiesa di Sant’Anna e quattro importanti collezioni musulmane (le biblioteche Al Budeiry, Al Khaliddiyya, Sheikh Abdul Aziz Al-Bukhari e Dar Issaf Nashashibi).

Chiediamo a padre Stewart quali siano state le sfide maggiori affrontate nel muoversi all’interno del mosaico di culture che caratterizza la Città Santa. Risponde con naturalezza: «Navigare nella complessità delle diverse tradizioni, trovare sostenitori o persone che ci appoggiassero all’interno di ogni comunità, essere consapevoli delle minacce che la situazione politica e legata alla sicurezza rappresentano per queste comunità». Poi aggiunge: «Senza dubbio la nostra identità di organizzazione sponsorizzata da un’università cattolica e il mio essere monaco hanno rappresentato un valido aiuto, perché la Chiesa cattolica è rispettata per il suo sostegno al popolo palestinese, musulmano e cristiano».

L’accesso ai manoscritti in linea, inoltre, si traduce in una risorsa indispensabile anche per gli studiosi e i ricercatori palestinesi che non hanno accesso a Gerusalemme perché vivono dall’altra parte della barriera di separazione, in Cisgiordania e a Gaza. «Per certi versi è come se abitassero in un altro continente: la digitalizzazione quindi aiuta tutti, utenti vicini e lontani», conclude il monaco.

L’entusiasmo di Shaima Budairy

A coordinare l’intero iter della digitalizzazione a Gerusalemme è una donna, Shaima Budairy, discendente di una delle famiglie più in vista della città (la già citata biblioteca Al Budeiry apparteneva a suo nonno). «Questo lavoro, a contatto con testi così rari, mi ha fatto apprezzare l’unicità dei tesori culturali raccolti nelle biblioteche di famiglia di Gerusalemme, e ha fatto crescere ancora di più la mia passione per ciò che faccio», racconta.

Tra le maggiori difficoltà riscontrate, Shaima segnala il fatto che alcuni manoscritti erano danneggiati al punto da rendere impossibile separare le pagine per fotografarle, perché incollate fra loro. «Una delle lezioni, semplici ma non scontate, che io e i miei colleghi abbiamo imparato da questa esperienza – continua – è che tali eredità dovrebbero essere preservate meglio, in un modo che tenga conto dei fattori ambientali». Ora le sei collezioni completamente digitalizzate sono al sicuro a Gerusalemme in luoghi protetti. E la cosa più importante, precisa Shaima, «è che sono accessibili gratuitamente nella sala di lettura virtuale Hmml, per consentire a tutti gli interessati di vedere, studiare e promuovere la storia di Gerusalemme sotto diversi aspetti».

Il patrimonio della Grande moschea di Gaza

Degno di nota è infine l’ultimo progetto in cantiere – condotto in collaborazione con la British Library (la Biblioteca nazionale del Regno Unito – ndr), quale principale sponsor – che riguarda la collezione di manoscritti della Grande moschea al-ʿUmarī di Gaza.

Il catalogo, composto da 208 manoscritti originali, spazia dalle scienze islamiche a quelle umanistiche, con numerosi testi di giurisprudenza (fiqh), appartenenti alla tradizione profetica (Ḥadīth) e alle discipline a questa associate. Comprende inoltre opere letterarie di valore, come la raccolta di poesie (Dīwān) del poeta Ibn Zaqāʿah al-Gazzī.


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