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Pesach al tempo del distanziamento sociale

Giorgio Bernardelli
8 aprile 2020
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La Pasqua che inizia al tramonto dell’8 aprile, nel pieno dell’emergenza coronavirus, è la festa più importante del calendario ebraico. Nella reclusione forzata sarà un’occasione per riscoprire il significato dei gesti.


«Perché questa notte è diversa da tutte le altre notti?». È la domanda che il più piccolo di casa nelle famiglie ebraiche ripete ogni anno durante il seder, la cena della notte di Pesach, la Pasqua ebraica. Ed è una domanda che assumerà a un significato del tutto particolare nel rito che si compirà di nuovo al tramonto di mercoledì 8 aprile in Israele, quando nel pieno dell’emergenza coronavirus avrà inizio la festa più importante del calendario ebraico.

Anche a Gerusalemme questo aprile carico di sofferenza attraversa le frontiere tra le religioni. Le drastiche misure per contenere il virus hanno portato alla chiusura di tutti i luoghi di culto: sinagoghe, moschee e chiese, senza eccezioni. Così nel giro di pochi giorni nella Città Santa si susseguiranno a porte chiuse Pesach, poi il Triduo pasquale per i cristiani di rito latino e gli evangelici, la settimana successiva la Pasqua delle Chiese di rito Orientale e infine – al tramonto del giorno 23 – l’inizio del Ramadan. Ma è appunto il mondo ebraico a fare da apripista, non senza tensioni: in questi giorni c’è stata grossa difficoltà nel fare accettare agli haredim, gli ebrei ultraortodossi, le restrizioni. Inizialmente – proprio per venire loro incontro – era stata ammessa la possibilità di momenti di incontro all’aperto di dieci persone, purché distanziate di almeno due metri l’una dall’altra. Un numero non casuale: dieci è il numero minimo per un minian, il gruppo di ebrei che si ritrova per pregare. Ma soprattutto a Bnei Brak, la grande città degli haredim, far applicare le restrizioni si è rivelato lo stesso difficile. E – non certo a sorpresa – proprio quella città è diventata una delle situazioni più critiche per l’epidemia in Israele.

Sarebbe ingeneroso però generalizzare: anche nel mondo dell’ebraismo ortodosso in molti hanno accolto la sfida che queste festività forzatamente recluse pongono. Un gruppo autorevole di rabbini, per esempio, ha dato il via libera alla possibilità di utilizzare i dispositivi elettronici (solitamente vietati durante lo shabbat) per permettere alle famiglie di vivere insieme il seder, la cena pasquale, anche trovandosi fisicamente in abitazioni diverse. Ripercorreranno dunque l’Haggadah – il grande racconto della liberazione dall’Egitto, che avviene in famiglia durante la cena – utilizzando le chat in video. Si tratta di una rilettura interessante delle norme religiose che fa cadere un precetto, il divieto all’uso dei dispositivi elettronici, in nome di un bene più grande: l’unità della famiglia.

Al di là delle modalità è comunque la celebrazione in sé di questa festa di Pesach a porre la questione decisiva della riscoperta del significato dei gesti. E da questa punto di vista è significativa una riflessione proposta in queste ore sul suo blog da Yossi Klein Halevi, uno dei leader dello Shalom Hartman Institute, una delle istituzioni più avanzate a Gerusalemme nell’elaborazione culturale sul rapporto tra religiosità ebraica e società di oggi. Halevi scrive: «Quando in videoconferenza ripercorreremo il racconto della liberazione dall’Egitto, quest’anno non potremmo non chiederci: perché rileggere questa storia è importante? Per la storia ebraica, perché l’Altissimo ce lo ha comandato, per la tragedia dell’Olocausto, per la riconciliazione… qualunque sia la risposta che abitualmente vi date, quest’anno cercate di andare un po’ più a fondo».

Andare più a fondo. È un invito molto bello che certamente ha qualcosa da dire anche alla Pasqua che noi cristiani ci apprestiamo a celebrare.

Clicca qui per leggere la riflessione di Yossi Klein Halevi


 

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A dare il nome a questo blog è una delle più celebri tra le porte della città vecchia di Gerusalemme. Quella che, forse, esprime meglio il carattere singolare di questo luogo unico al mondo. Perché la Porta di Jaffa è la più vicina al cuore della moderna metropoli ebraica (i quartieri occidentali). Ma è anche una delle porte preferite dai pellegrini cristiani che si recano alla basilica del Santo Sepolcro. Ecco, allora, il senso di questo crocevia virtuale: provare a far passare attraverso questa porta alcune voci che in Medio Oriente esistono ma non sentiamo mai o molto raramente.

 

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