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La situazione dei palestinesi con disabilità

Giulia Ceccutti
29 aprile 2020
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La situazione dei palestinesi con disabilità
Un momento di festa per alcuni ragazzi con disabilità a Ramallah, in Cisgiordania. (foto Associazione Annahda)

La difficile condizione delle persone disabili nei Territori Palestinesi mostra negli ultimi anni segnali di miglioramento. Molto resta, però, da fare. Ce ne parla il pedagogista Sami Basha.


«Da quando ho iniziato a lavorare nel campo della disabilità nei Territori Palestinesi, ho notato un grande miglioramento nell’atteggiamento delle persone, soprattutto tra i familiari dei diversamente abili. Abbiamo superato tanti ostacoli: in primo luogo quello della vergogna e del rifiuto. Oggi, rispetto al passato, le famiglie mostrano maggiore coraggio nel parlare della disabilità che hanno in casa e nell’affrontare la sofferenza».
Lo afferma Sami Basha, attuale presidente dell’American University of Sicily e per anni docente di Pedagogia in diverse università palestinesi. Ideatore del primo programma curriculare universitario palestinese per formare persone qualificate nel settore della disabilità – avviato nel 2012 in collaborazione con atenei stranieri, tra cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore –, il professor Basha ha ricevuto un importante riconoscimento dal Council for Exceptional Children negli Usa. A lui abbiamo chiesto di aprirci una «finestra» su un mondo, quello della disabilità nei Territori Palestinesi, poco sotto i riflettori e segnato da notevoli fragilità.

Le statistiche raccontano

Secondo l’Ufficio centrale palestinese di statistica, sono 93 mila le persone con disabilità nel Paese (dati di dicembre 2019). Costituiscono il 2,1 per cento del totale della popolazione e sono suddivisi circa in parti uguali, fra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. Circa un quinto di essi ha meno di 18 anni. Più di un terzo, dai 10 anni in su, è analfabeta.

Da segnalare in particolare la condizione femminile: un terzo delle donne con disabilità, sposate o divorziate, ha subito violenza da parte del proprio compagno almeno una volta nei dodici mesi precedenti l’indagine. La percentuale varia in modo consistente tra la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, dove la percentuale arriva addirittura il 42 per cento. E alla violenza fisica si accompagna spesso quella psicologica.

L’aspetto della formazione è perciò senza dubbio cruciale. «Il settore educativo palestinese – continua il professor Basha – ha compiuto passi da gigante in questo ambito, ma rimane ancora un gran lavoro da svolgere, soprattutto nel rivedere tutto il curriculum e adeguarlo alle necessità degli alunni diversamente abili. C’è poi ancora molto da fare per adattare le varie strutture, per facilitare l’inserimento e l’inclusione degli studenti con varie tipologie di disabilità».

Nel 2005 il ministero dell’Istruzione ha creato un dipartimento specifico a sostegno della disabilità, ma, dati i fondi disponibili limitati, non sono stati realizzati nuovi interventi duraturi. Ancora troppo ridotto è, ad esempio, il numero di insegnanti di sostegno nelle scuole pubbliche. «Nel mio lavoro – aggiunge Sami Basha – ho visto che tutto dipende dagli insegnanti, dal loro impegno e dalla profondità della motivazione nel voler imparare e aggiornarsi. Chi sta “in prima linea” a favore della disabilità sono proprio loro: i docenti. Nonostante siano sottopagati e operino in un contesto nel quale mancano i mezzi, spesso grazie alle loro competenze sono in grado di migliorare la vita di tanti, inclusa quella dei familiari del disabile».

Questioni aperte

Nonostante i risultati raggiunti finora, nei Territori palestinesi i fronti di lavoro aperti restano numerosi. Dal rafforzamento del ruolo dei genitori alla necessità di ridurre i pregiudizi nei confronti delle persone disabili; dal vuoto da colmare nelle politiche specifiche e di pianificazione strategica, dovuto alla carenza di risorse economiche, alla drammatica assenza di un servizio, all’interno del sistema scolastico, per le persone con le forme più gravi di disabilità – assenza che obbliga la maggior parte dei genitori a mandare i propri figli nelle strutture private, spesso con costi elevati. Sono numerose le situazioni familiari in cui i disabili rimangono invece a casa o per strada.
Ciò che serve, infine, secondo Basha, è il sostegno alla professionalità. «I diversamente abili non sono infatti una categoria che merita solo aiuto, ma dignità: va loro garantito il diritto allo studio e all’inserimento sociale, oltre che lavorativo. In Palestina serve l’impegno di tutti per consolidare questo modo di pensare e agire».

Esiste a Ramallah una realtà che, tra le altre, opera nella direzione descritta, in ambito educativo ma anche professionale. Si tratta di Annahda, associazione non profit fondata nel 1925 che sviluppa programmi di educazione speciale per bambini, attività ricreative e d’integrazione, terapia occupazionale.

«Siamo nati dall’interno della situazione palestinese, come un segno di carità – ci spiega il direttore George Rantisi –. Oggi, oltre a essere un centro di formazione professionale, produciamo soprattutto strumenti educativi destinati alle scuole. Cerchiamo di far sentire i ragazzi disabili e i loro familiari utili e parte dello sviluppo del Paese». Una storia bella da citare in questo senso è quella di uno dei loro ragazzi, che, con gli anni, ha sviluppato diverse competenze, diventando il direttore del settore produzione dell’associazione. «Oggi presta servizio nella Chiesa cattolica a Ramallah – conclude Rantisi – e siamo molto fieri del percorso che ha compiuto».

 

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