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Noam Shuster Eliassi, far ridere per far pensare

Giulia Ceccutti
5 febbraio 2020
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Noam Shuster Eliassi, far ridere per far pensare
Noam Shuster Eliassi davanti a un pubblico di studenti dell'Università ebraica di Gerusalemme.

S'è fatta notare nel panorama dei nuovi comici emergenti in Israele. Parla ebraico ed arabo sin dall'infanzia. E nel suo piccolo si propone di far riflettere israeliani e palestinesi sulla realtà in cui vivono.


«Fare il comico in Medio Oriente può metterti nei guai. Specialmente se sei una donna ebrea e fai commedia in arabo». Scherza così (ma non troppo) Noam Shuster Eliassi – trentadue anni, vivaci occhi neri, fisico imponente e modi gioviali, che ispirano subito simpatia – nominata nel 2018 Miglior nuovo comico ebreo dell’anno in un concorso sponsorizzato dal JW3 Jewish Community Center di Londra.

Un paio di anni fa, Noam è stata la prima attrice ebrea invitata a un festival comico palestinese. «Mentre il presentatore mi annunciava – racconta – ho visto in prima fila due ragazzi palestinesi dall’aria imbronciata che mi guardavano a braccia conserte, come a chiedersi “Cosa vorrà?”. Sono salita sul palco e per prima cosa ho detto a uno di loro: “Habibi («Tesoro» in arabo – ndr) rilassati: starò qui per sette minuti, non settant’anni”. E la tensione tra il pubblico si è subito allentata».

Una donna sul crinale

Noam parla l’arabo perfettamente perché è cresciuta nel Villaggio di Neve Shalom – Wahat al Salam («Oasi di pace» in ebraico e arabo, situata a mezz’ora di strada da Gerusalemme e da Tel Aviv), dove i suoi, entrambi ebrei, si sono trasferiti durante gli Accordi di Oslo (nei primi anni Novanta). La madre è nata in Iran, il padre in Romania.

Oggi l’artista si esibisce in ebraico, arabo e inglese. È molto fiera delle proprie radici e nei suoi sketch parla spesso della sua numerosa famiglia, della speciale comunità in cui è cresciuta, della sua vita sentimentale e degli israeliani di sinistra («Ho trentadue anni e sono single, quindi vado alle manifestazioni principalmente per cercare un appuntamento. E quando vado alle manifestazioni, il problema è che le uniche persone che sembrano aver fatto la doccia sono gli agenti di polizia…»). Ma il suo è soprattutto un umorismo di tipo politico, che invita a riflettere sulla realtà del conflitto e su ciò che vivono, nel quotidiano, ebrei e arabi in Israele e in Palestina.

Anche questo è attivismo

Interessante l’esordio. Dopo una laurea alla Brandeis University (non lontana da Boston, Stati Uniti), anni di lavoro per alcune organizzazioni per la pace – tra cui le Nazioni Unite – e di attività politica. Dopo aver ricevuto il Davis Peace Prize per lo sviluppo di programmi di costruzione della pace per giovani sieropositivi a Kigali, in Ruanda, la svolta. Per non perdere la speranza, racconta l’attrice. «Non ho propriamente deciso di fare l’attrice comica. Per me è stato piuttosto un modo per sopravvivere. Circa tre anni fa sono stata licenziata dall’Onu e invece di continuare a fare l’attivista ho iniziato a scrivere barzellette e ad esibirmi. Ho cominciato a dedicarmi alla commedia per cercare di esercitare un’influenza sul mio popolo».

Le chiedo in quale forma, nei suoi spettacoli, rientri il tema della coesistenza tra ebrei e arabi. Non ha dubbi: «Me ne occupo attraverso la mia esperienza personale e le mie conoscenze politiche. Sono cresciuta in un modo che dovrebbe essere di esempio per la convivenza, ma ora tutto quello che ho è lo strumento della commedia per sfidare i luoghi comuni e raccontare le nostre storie. Quando ero all’Onu cercavo di dare un senso a ciò che viviamo nel mio Paese e in Palestina: ora la commedia mi aiuta piuttosto a confondere le persone, a farle riflettere».

Noam attualmente sta trascorrendo un periodo negli Stati Uniti. Di recente si è esibita, tra gli altri, sul palco del noto comico iraniano americano Maz Jobrani al J.F. Kennedy Center for the Performing Arts di Washington, al festival di Aran a Dearborn – primo comico ebreo a essere invitato – e all’Università di Harvard.

Il suo sogno, per ora, è continuare a viaggiare con il proprio show in ebraico, arabo e inglese. E poi «vedremo come andrà… Chi può dirlo?».


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