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Per gli Usa le colonie israeliane non sono più illegali

Terrasanta.net
21 novembre 2019
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Per gli Usa le colonie israeliane non sono più illegali
Nuovi edifici in contruzione nell'insediamento israeliano di Elkanah, in Cisgiordania. Lo scatto è dell'agosto 2019. (foto Ben Dori/Flash90)

L'amministrazione del presidente Donald Trump adotta un'altra posizione che spiace ai palestinesi e rallegra il governo di Israele. Perplessa la comunità internazionale. La posizione della Chiesa.


(c.l./g.s.) – Sotto la presidenza di Donald Trump, il governo degli Stati Uniti ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e le alture del Golan come territorio dello Stato ebraico. Ha anche tagliato gli stanziamenti Usa per i palestinesi, nell’intento di piegare i loro leader politici, e ora dichiara di non ritenere che «la creazione di insediamenti civili israeliani in Cisgiordania sia, per sé, contraria al diritto internazionale». La nuova linea è stata resa nota alla stampa la sera del 18 novembre dal responsabile della politica estera, il segretario di Stato Mike Pompeo. Ancora una volta, richiamandosi alle posizioni assunte da Ronald Reagan nel 1981 si pone in essere una frattura con la linea di Barack Obama, andando anche contro la sensibilità della comunità internazionale sulla questione. L’amministrazione Trump compie così un altro passo verso l’alleato israeliano e, insieme, fa felice il suo elettorato evangelico che considera la restaurazione del Regno di David (cioè la sovranità politica di Israele sulla terra promessa da Dio agli israeliti) un requisito per il ritorno ultimo e definitivo di Cristo.

La recentissima presa di posizione di Pompeo non equivale al riconoscimento della sovranità israeliana sugli insediamenti nei Territori palestinesi. Tuttavia cambia le carte in tavola. Il quotidiano The Jerusalem Post prova a dirla così: smettere di parlare di insediamenti «illegali» muta «i parametri del discorso». Per capirci: «d’ora in avanti, quando un diplomatico europeo affermerà che gli insediamenti sono illegali, Israele potrà rispondere: “Secondo chi?” e poi far osservare che gli Stati Uniti si oppongono a questa definizione». Per il quotidiano israeliano Yediot Aharonot, «questa decisione potrebbe essere intesa da Israele come un via libera per l’espansione degli insediamenti e la prosecuzione dei suoi propositi di annessione». Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, d’altronde, non ha forse espresso lo scorso settembre – prima delle seconde elezioni parlamentari nell’arco dell’anno – l’intento di annettere rapidamente la Valle del Giordano in caso di vittoria del suo schieramento? La vallata è un territorio strategico che rappresenta poco meno di un terzo della Cisgiordania occupata. Neppure il principale antagonista di Netanyahu, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, leader del partito Blu e Bianco, si dice sfavorevole a una futura annessione di quella porzione di territorio.

Le reazioni internazionali

La Lega araba, le Nazioni Unite, l’Unione Europea, la Francia, il Regno Unito, la Russia, e la Turchia hanno condannato la decisione di Washington, che considerano in contrasto con il diritto internazionale, e in particolare con quello umanitario. Tutte queste parti reputano il nuovo passo degli Usa un ulteriore intralcio alla soluzione a due Stati, vale a dire alla creazione di uno Stato palestinese vero e proprio che coesista con Israele.

Per il portavoce dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Rudeineh, gli Stati Uniti compiono «un errore storico adottando una politica di tipo coloniale rispetto a Gerusalemme e agli insediamenti, che sono il più grande crimine del secolo». È chiaro che, a questo punto, per i dirigenti palestinesi l’«Accordo del secolo» – vale a dire il piano di pace che l’amministrazione Trump ha in mente per la pace in Terra Santa – è definitivamente morto e sepolto.

La posizione della Santa Sede

Anche il Vaticano dice la sua, con una dichiarazione diffusa il 20 novembre. Non vi si cita il governo degli Stati Uniti, ma il riferimento implicito è ovvio. Recita il comunicato: «Di fronte a recenti decisioni che rischiano di minare ulteriormente il processo di pace israelo-palestinese e la già fragile stabilità regionale, la Santa Sede ribadisce la sua posizione in merito alla soluzione di due Stati per due popoli, come unica via per arrivare ad una soluzione definitiva dell’annoso conflitto». «La Santa Sede – prosegue la dichiarazione – sostiene il diritto dello Stato d’Israele a vivere in pace e sicurezza entro i confini riconosciutigli dalla comunità internazionale, ma lo stesso diritto appartiene al popolo palestinese e deve essere riconosciuto, rispettato e attuato. La Santa Sede auspica che le due Parti, negoziando direttamente tra di loro, con l’appoggio della Comunità internazionale e in osservanza delle Risoluzioni delle Nazioni Unite, possano trovare un compromesso giusto, che tenga conto delle legittime aspirazioni dei due popoli».

Dal Patriarcato latino di Gerusalemme si esprime mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, vicario patriarcale per Gerusalemme e la Palestina. All’agenzia Sir, della Conferenza episcopale italiana, parla di «una dichiarazione disastrosa, che va in senso contrario alla pace e ai diritti dei popoli e delle persone».

Soddisfazione in Israele

La decisione americana è stata, naturalmente, accolta con entusiasmo dalla destra israeliana. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha sottolineato che questo è «il riflesso di una verità storica, e cioè che gli ebrei non sono colonizzatori stranieri in Giudea e Samaria (i toponimi biblici vengono preferiti a quelli di West Bank o Cisgiordania – ndr)». «In effetti – ha aggiunto – ci chiamano giudei perché siamo il popolo della Giudea».

La colonizzazione israeliana della Cisgiordania iniziò nel 1967 con la Guerra dei sei giorni. È proseguita dopo la firma degli accordi di Oslo nel 1993 e negli ultimi anni ha subito un’accelerazione sotto la guida di Benjamin Netanyahu. Attualmente, secondo l’organizzazione israeliana Peace Now, oltre 427.800 israeliani vivono nella Cisgiordania occupata, in mezzo a 2,7 milioni di palestinesi.

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Ernesto Borghi

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