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A Baghdad l’università riprende quota

Laura Silvia Battaglia
10 ottobre 2018
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Dopo gli anni difficili del primo dopoguerra nella capitale irachena c'è soddisfazione per la ripresa del sistema di istruzione superiore. L'università di Baghdad tra le prime 1.000 del mondo.


Non succedeva dagli anni Settanta, ma adesso è vero: l’università di Baghdad è entrata nella lista delle 1.000 migliori università del mondo per il 2019 e questo dà agli iracheni una ragione in più per sperare seriamente in una svolta positiva verso lo sviluppo del Paese, e una spinta alle speranze dei giovani per un futuro migliore.

L’università di Baghdad, che stata fondata nel 1957, è arrivata a ricoprire l’801esimo posto su mille 1.250 concorrenti nel Times Higher Education World University Rankings. La lista quota atenei di tutto il mondo. In cima, le inglesi Oxford e Cambridge ricoprono sempre, alternandosi, i primi due posti.

L’orgoglio del ministero dell’Istruzione superiore iracheno è palpabile: «L’università di Baghdad – recita un comunicato – ha raggiunto un nuovo risultato entrando nel Times Ranking. Ci siamo riusciti dopo avere presentato più di 7mila temi di ricerca presso lo Scopus International Data Base».

Anche Phil Baty, direttore editoriale del ranking, ha parlato alla Bbc di una valutazione che renderebbe possibile, per l’ateneo di Baghdad, l’inizio di una «forte cooperazione internazionale» con il resto del mondo accademico a livello planetario. Infine, ha sottolineato la qualità del processo di ricostruzione dell’Istruzione universitaria nel dopo-guerra iracheno.

In realtà, l’invasione americana dell’Iraq del 2003, dopo anni di dittatura di Saddam Hussein, lasciò il Paese stremato e al collasso. Il tempo di ricostruzione sociale e fisica di scuole e università è stato lunghissimo e travagliato. Per esempio, dopo il 2003 l’80 per cento delle scuole irachene era inagibile: circa 15 mila edifici avevano bisogno di essere rimessi in piedi e mancavano delle strutture sanitarie di base, di biblioteche e laboratori scientifici (dati Unesco). Negli ultimi due anni, la crisi interna imposta dalla presenza dello Stato islamico ha peraltro messo a dura prova il Paese, in termini di sicurezza e di sostenibilità economica, avendo dovuto rinunciare, soprattutto da Erbil a Baghdad, a una quantità cospicua di investimenti stranieri.



  

Perché Diwan

La parola araba, di origine probabilmente persiana, diwan significa di tutto un po’. Ma si tratta di concetti solo apparentemente lontani, in quanto tutti legati dalla comune etimologia del “radunare”, del “mettere insieme”. Così, diwan può voler dire “registro” che in poesia equivale al “canzoniere”. Dove registro significa anche l’ambiente in cui si conserva e si raduna l’insieme dei documenti utili, ad esempio, per il passaggio delle merci e per l’imposizione dei dazi, nelle dogane. Diwan, per estensione, significa anche amministrazione della cosa pubblica e, per ulteriore analogia, ministero. Diwan è anche il luogo fisico dove ci si raduna, si discute, si controllano i registri (o i canzonieri) seduti (per meglio dire, quasi distesi) comodamente per sfogliarli. Questo spiega perché diwan sia anche il divano, il luogo perfetto per rilassarsi, concentrarsi, leggere.

Questo blog vuole essere appunto un diwan: un luogo comodo dove leggere libri e canzonieri, letteratura e poesia, ma dove anche discutere di cose scomode e/o urticanti: leggi imposte, confini e blocchi fisici per uomini e merci, amministrazione e politica nel Vicino Oriente. Cominciando, conformemente all’origine della parola diwan, dall’area del Golfo, vero cuore degli appetiti regionali, che alcuni vorrebbero tutto arabo e altri continuano a chiamare “persico”.

Laura Silvia Battaglia, giornalista professionista freelance e documentarista specializzata in Medio Oriente e zone di conflitto, è nata a Catania e vive tra Milano e Sana’a (Yemen). È corrispondente da Sana’a per varie testate straniere.

Tra i media italiani, collabora con quotidiani (Avvenire, La Stampa, Il Fatto Quotidiano), reti radiofoniche (Radio Tre Mondo, Radio Popolare, Radio In Blu), televisione (TG3 – Agenda del mondo, RAI News 24), magazine (D – Repubblica delle Donne, Panorama, Donna Moderna, Jesus), testate digitali e siti web (Il Reportage, Il Caffè dei giornalisti, The Post Internazionale, Eastmagazine.eu). Cura il programma Cous Cous Tv, sulle televisioni nel mondo arabo, per TV2000.

Ha girato, autoprodotto e venduto otto video documentari. Ha vinto i premi Luchetta, Siani, Cutuli, Anello debole, Giornalisti del Mediterraneo. Insegna come docente a contratto all’Università Cattolica di Milano, alla Nicolò Cusano di Roma, al Vesalius College di Bruxelles e al Reuters Institute di Oxford. Ha scritto l’e-book Lettere da Guantanamo (Il Reportage, dicembre 2016) e, insieme a Paola Cannatella, il graphic novel La sposa yemenita (BeccoGiallo, aprile 2017).

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