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Un amore (im)possibile lontano da casa

Giuseppe Caffulli
31 agosto 2016
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Un amore (im)possibile lontano da casa

Una ragazza ebrea e un coetaneo palestinese si amano appassionatamente. L’autrice scandaglia le loro anime condannate a una «vita di confine». La storia è narrata con eleganza e levità.


New York, 2003. Lei è ebrea di Tel Aviv. Si trova negli Usa grazie una borsa di studio. Hilmi, invece, è palestinese di Ramallah (ma la sua famiglia viene da Hebron). Vive a Brooklyn e fa il pittore, anche se per sopravvivere impartisce lezioni di arabo. Sono giovani, assetati di vita.

Si incontrano per via di un amico comune e, quasi senza che se ne rendano conto, inizia tra loro una relazione profonda. Nella Grande Mela, la terra delle opportunità, Liat e Hilmi, nonostante le differenze, sono presi l’una dell’altro (e viceversa) come in una morsa. Di tanto in tanto affiorano le paure, i pregiudizi, le barriere… Ma alla fine si ritrovano nella più bella avventura che un uomo e una donna possano vivere: quella di mettere in comune le proprie vite.

A dire il vero Liat, che ha servito nell’esercito israeliano e ha ben presente la narrazione che viene fatta degli «arabi» e del conflitto con la Palestina, sembra considerare questo rapporto a termine, quasi una «sospensione del tempo» in attesa di un ritorno alla realtà, quella di due persone profondamente diverse e distanti. In verità, le vite dei due personaggi si intrecciano sempre più inscindibilmente. Perfino il ritorno in Medio Oriente – lei a Tel Aviv, lui a Ramallah – non li separa realmente: due anime intrecciate, due fiori di colori diversi, ma su uno stesso stelo. Fino all’epilogo tragico, quando il sogno di un incontro sembra destinato ad avverarsi ed invece svanisce tra i flutti del mare che bagna quella terra contesa.

Bandito dal ministero dell’Istruzione israeliano con l’accusa di «minacciare l’identità ebraica», Borderlife è una storia d’amore narrata con un’eleganza e una levità che conquistano. L’autrice, ebrea di origine iraniana, scandaglia in profondità i sussulti dell’anima di due giovani che la storia ha condannato ad una «vita di confine». Ma non tralascia di andare a fondo dei pregiudizi dei quali si nutrono i rispettivi popoli. Per suggerire, in fondo, che il destino può separare due cuori, non certo la politica o la tragedia del conflitto.

La bellissima traduzione di Elena Loewenthal rende davvero deliziosa la lettura e ci immerge – come ha scritto Amos Oz – in una storia d’amore «che la tragedia di due popoli non riesce a sopraffare».


Dorit Rabinyan
Borderlife
Longanesi, Milano 2016
pp. 300 – 16,90 euro

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