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Lo sheykh di al-Azhar in Vaticano, gli echi in Egitto

Elisa Ferrero
30 maggio 2016
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I giornali egiziani e arabi sono stati quasi unanimi nel definire «storico» l’incontro avvenuto in Vaticano, il 23 maggio scorso, fra papa Francesco e Ahmed al-Tayyeb, lo sheykh di al-Azhar. Aspri, invece, i Fratelli Musulmani.


I giornali egiziani e arabi sono stati quasi unanimi nel definire come «storico» l’incontro avvenuto in Vaticano, il 23 maggio, fra papa Francesco e Ahmed al-Tayyeb, lo sheykh di al-Azhar (il più prestigioso ateneo religioso dell’islam sunnita a livello internazionale che ha sede al Cairo – ndr). Storico perché, prima di oggi, c’era stata solo una visita di san Giovanni Paolo II, il 27 febbraio 2007, all’allora sheykh di al-Azhar Mohammed Sayyed Tantawi. Storico, soprattutto, perché ha posto fine a quasi dieci anni di tensione fra le due istituzioni; tensione che aveva raggiunto il culmine dopo l’attentato alla chiesa copta dei Due Santi, ad Alessandria d’Egitto, il primo gennaio 2011, quando al-Azhar aveva interrotto le relazioni con il Vaticano, in seguito ad alcune dichiarazioni dei vertici della Chiesa cattolica sulla situazione dei cristiani in Egitto.

La ripresa del dialogo (ufficiale) fra islam e cattolicesimo è stata in generale salutata con grande favore dall’opinione pubblica e dai rappresentanti delle altre confessioni cristiane in Egitto. Sui mass media e sui social network, personalità note e gente comune hanno fatto piovere numerose dichiarazioni in sostegno a questo dialogo. Andrea Zaky, per esempio, presidente della comunità protestante egiziana, ha descritto l’incontro come «una spinta positiva verso l’accettazione dell’altro e la convivenza». Abdel Moneim Aboul Fotouh, ex candidato alla presidenza della repubblica e fuoriuscito dalla Fratellanza Musulmana, ha espresso in un tweet tutto il suo «apprezzamento per la visita dello sheykh di al-Azhar al papa, in nome dell’integrazione reciproca e della cooperazione fra civiltà, lontano dai mercanti d’armi, da chi invoca spargimenti di sangue e dalla menzogna dello scontro di civiltà». Ali bin Tamim, intellettuale degli Emirati Arabi, ha sottolineato come «la storia islamica dimostri che l’incontro fra due religioni è più importante del dialogo fra due confessioni all’interno di una stessa religione, perché ogni volta che i legami fra religioni si estendono, il confessionalismo svanisce».  Questi sono stati solo alcuni dei commenti positivi sulla visita di al-Tayyeb in Vaticano, ma gli altri sono stati dello stesso tenore.

Tutto bene dunque? No, perché non sono mancate critiche velenose, giunte quasi interamente da voci islamiste, dalla stampa legata alla Fratellanza Musulmana, dai simpatizzanti dell’ex presidente Mohammed Morsi e dai circoli islamisti. I loro attacchi non sono stati diretti a papa Francesco – la cui persona pare comunque suscitare rispetto – bensì alla figura di Ahmed al-Tayyeb, definito sarcasticamente come sheykh al-‘askar (lo sheykh dei militari), gioco di parole con sheykh al-azhar (lo sheykh di al-Azhar). L’accusa rivolta ad al-Azhar – e al patriarcato della Chiesa copta – è di essere il braccio religioso dello Stato militare. «Al-Azhar insegna gli scritti di Ibn Taymiyya e poi va a parlare di convivenza e rispetto per l’altro». «Al-Tayyeb è a capo di un’istituzione che si rifiuta di dichiarare apostati quelli dell’Isis, ma non il giornalista el-Beheiry che ha criticato al-Bukhari» (di cui si è parlato in questo blog). Questi sono solo due esempi dei commenti, un po’ semplicistici per la verità, da parte dei critici più gentili. La maggior parte dei commenti negativi islamisti, però, è scesa a un livello molto più basso, sfiorando toni razzisti da conflitto di civiltà. L’ex parlamentare della Fratellanza Azza el-Garf – diventata celebre quando propose l’abolizione della legge che proibisce le mutilazioni genitali femminili, perché «voluta da Suzanne Mubarak» (moglie dell’ex presidente Hosni Mubarak – ndr) – ha affermato, per esempio, che «la visita di al-Tayyeb in Vaticano avviene, non a caso, nel bel mezzo di una guerra aperta all’Islam» (cioè agli islamisti, ovviamente). Insomma, l’incontro fra al-Tayyeb e papa Francesco sarebbe parte del «progetto golpista» del presidente Abdel Fattah al-Sisi e compagnia. Al-Tayyeb, poi, per la stampa islamista, sarebbe stato umiliato dal papa che lo avrebbe fatto accomodare apposta su una sedia piccola, posta più in basso della propria, come uno studentello davanti a un professore (notizia ovviamente falsa: nello studio del Papa lo sheykh si è accomodato su una delle sedie utilizzate da qualunque altro ospite del Pontefice: ecclesiastico, sovrano, autorità religiosa, capo di Stato o di governo che sia – ndr). E si è giunti, infine, a commenti deliranti come quello di un utente di Twitter, riportato da Rassd, portale di notizie schierato con i Fratelli Musulmani, che ha affermato: «Forse il colloquio fra lo sheykh di al-Azhar e il papa è per discutere di come assorbire la rabbia dei musulmani quando sarà annunciato il secondo Stato del Vaticano nel sud del Sinai».

Quest’ultimo, purtroppo, non è il tweet isolato di un amante delle teorie del complotto. Due settimane prima, infatti, l’idea dell’imminente fondazione di uno Stato «copto-sionista» in Egitto, con la benedizione di al-Sisi, era già circolata sulle pagine di un sito Internet facente riferimento alla Fratellanza Musulmana di Port Said. Dunque, è tenendo ben presente questo scenario che va valutata la grande importanza dell’incontro fra papa Francesco e al-Tayyeb, nonostante tutte le critiche che si possono rivolgere ad al-Azhar. Papa Francesco, commentando la visita dell’ospite egiziano, ha detto: «Il messaggio è questo stesso nostro incontro». Un incontro cui fa eco un uguale incontro fra cristiani e musulmani in Egitto che resistono ogni giorno alla mentalità e alla violenza settaria. Lo si è potuto constatare ancora una volta proprio negli stessi giorni della visita di al-Tayyeb in Vaticano, con il riaccendersi del conflitto religioso in un paesino della provincia di el-Minya. Questa vicenda, tuttavia, merita un discorso a parte.

 


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Il kushari è un piatto squisitamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, in un amalgama improbabile fatto di pasta, riso, lenticchie, hummus, pomodoro, aglio, cipolla e spezie, pare sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinati da mani esperte, gli ingredienti si fondono armoniosamente in una pietanza deliziosa dal sapore unico nel mondo arabo. Quale miglior metafora per l’Egitto di oggi? Un Egitto in rivoluzione che tenta di fondere mille anime, antiche e recenti, in una nuova identità, che alcuni vorrebbero monolitica e altri multicolore. Mille anime che potrebbero idealmente unirsi, come gli ingredienti del kushari, per dar vita a un sapore unico e squisito, o che potrebbero annientarsi fra acute discordanze. Un Egitto in cammino che è impossibile cogliere da una sola angolatura. È questo l’Egitto che si tenterà di raccontare in questo blog.

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