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Al Cairo è Stato contro Stato

di Elisa Ferrero
4 aprile 2016
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In Egitto, lo scontro fra diversi apparati istituzionali dello Stato si fa sempre più duro. La settimana appena trascorsa, il Paese ha assistito all’ennesimo licenziamento eclatante di un’autorità istituzionale di alto livello: il presidente della Corte dei conti, Hisham Geneina.


In Egitto, lo scontro fra diversi apparati istituzionali dello Stato si fa sempre più duro. La settimana appena trascorsa, il Paese ha assistito all’ennesimo licenziamento eclatante di un’autorità istituzionale di alto livello: il presidente della Corte dei conti, Hisham Geneina.

Prima della nomina alla Corte dei conti, Geneina era stato un leader della corrente della magistratura che lottava per l’indipendenza dei giudici. Chiamata Istiqlal (che in arabo significa, appunto, indipendenza), questa corrente aveva denunciato i brogli delle elezioni presidenziali del 2005, restituendo un filo di speranza al Paese sul suo futuro politico. Oggi, la corrente Istiqlal è disfatta, soprattutto dopo il ritorno al potere di Ahmed el-Zend (si veda il blog precedente), prima in veste di presidente del Club dei Giudici e poi di ministro della Giustizia. Il massimo leader di Istiqlal, Zakariya Abdel Aziz, è stato recentemente prepensionato assieme ad altri colleghi e tutti stanno subendo persecuzioni giudiziarie. Ora è il turno di Geneina.

La vicenda inizia nel settembre 2015, quando Geneina redige un rapporto dettagliato che contiene una stima della corruzione delle istituzioni dello Stato, negli ultimi quattro anni, pari a 600 miliardi di sterline egiziane (oltre 59 miliardi di euro). Geneina non si ferma alla stesura di questo rapporto e invia centinaia e centinaia di casi di corruzione alla Procura di Stato, fra i quali anche qualcuno che riguarda il suo arci-nemico Ahmed el-Zend. Non solo, Geneina va in tivù e rilascia interviste, nelle quali spiega i dettagli della corruzione di Stato. Tutto ciò, proprio nel momento in cui il governo, a caccia di fondi, sta patteggiando con le figure del regime di Hosni Mubarak (presidente della repubblica al 1981 al 2011 – ndr) per ottenere cospicui risarcimenti in cambio della cancellazione delle loro condanne per corruzione. A gennaio, poi, il rapporto di Geneina è approvato anche dall’Autorità di controllo amministrativa e la situazione si fa pesante per il governo.

I predecessori di Geneina, di fronte ai casi di corruzione, hanno sempre interpellato in maniera riservata le istituzioni coinvolte, mentre lui ne ha fatto una questione pubblica. Secondo il quotidiano Mada Masr, è proprio questo comportamento ad aver causato l’ira del presidente Abdel Fattah el-Sisi, che pur ha fatto della lotta alla corruzione il secondo motto del suo governo, dopo quello della lotta al terrorismo. Il 27 marzo 2016, dopo mesi di conflitto sotterraneo, el-Sisi decide dunque di formare una commissione d’inchiesta con membri della Sicurezza di Stato per indagare su Geneina. La commissione, in meno di un giorno, conclude che il rapporto di Geneina è inaccurato, perché avrebbe gonfiato l’entità della corruzione di Stato. Il 28 marzo, mentre l’Egitto ha gli occhi puntati sul dirottamento a Cipro di un volo Egyptair, el-Sisi licenzia Geneina con un decreto presidenziale, avvalendosi di un altro decreto presidenziale da lui stesso emanato nell’estate del 2015 (e recentemente ratificato dal neoeletto Parlamento) che gli garantisce la facoltà di rimuovere i vertici delle varie autorità di controllo “indipendenti”, nel caso in cui le loro azioni minaccino la sicurezza di Stato.

A questo punto, si apre il solito giallo. Il quotidiano al-Tahrir, infatti, scopre che il decreto di el-Sisi non è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Lo stesso Geneina, secondo i giornali, afferma di aver saputo del suo licenziamento dalla tivù e di non averne avuto notifica ufficiale. Stessa cosa per l’indagine che la Sicurezza di Stato – si dice – dovrebbe avviare su di lui. La rimozione di Geneina è dunque valida?

Il decreto di licenziamento è pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale solo il 3 aprile. Il Wall Street Journal, intanto, sostiene che Geneina sia agli arresti domiciliari, ma questa notizia è presto smentita dall’interessato e dal suo avvocato, Ali Taha, il quale sostiene, però, che la casa di Geneina è circondata dalla Sicurezza di Stato. Geneina è minacciato? Le speculazioni abbondano. Quel che è certo è che l’ufficio di Geneina è ormai occupato dal suo vice. Altrettanto certa è l’azione legale intentata nei suoi confronti del loro presidente da due dipendenti della Corte dei Conti che denunciano uno sperpero di fondi dell’agenzia. Azione legale, tuttavia, che è respinta il primo aprile da un tribunale del Cairo. Nel frattempo, la stampa pro-regime, come al-Youm al-Sabaa, si scaglia contro Geneina, descrivendolo come «l’ultima foglia caduta dall’albero della Fratellanza Musulmana», con riferimento alla sua nomina, nel 2012, da parte di Mohammed Morsi (dimenticando, però, che anche el-Sisi è stato nominato da Morsi!). Per simili illazioni nei confronti di Geneina, tuttavia, il 3 aprile è rinviato a processo nientemeno che l’ormai noto ex ministro della Giustizia Ahmed el-Zend.

Non si risparmiano colpi, dunque, fra le varie “fazioni istituzionali” in seno al regime. L’esito della battaglia fra el-Sisi, el-Zend e Geneina, a suon di decreti, indagini e azioni legali, resta tuttora aperto, con l’opinione pubblica che, sullo sfondo, segue con attenzione. Il Parlamento dovrà pronunciarsi ufficialmente sul rapporto di Geneina, mentre un tribunale amministrativo, il 31 marzo, ha spianato la strada per il ricorso contro il suo licenziamento. Non è chiaro, finora, se questo ricorso sia stato effettivamente avviato, né quale sarà il destino di Geneina. Ma è evidente l’emergere, sempre più spesso, delle lotte intestine al regime che non si concentra nella sola figura di el-Sisi, ma si articola in una costellazione vasta e ramificata di apparati statali, istituzioni religiose e poteri economici fra i quali si alternano, a seconda del periodo, alleanze e conflitti.


Il kushari è un piatto squisitamente egiziano. Mescolando ingredienti apparentemente inconciliabili fra loro, in un amalgama improbabile fatto di pasta, riso, lenticchie, hummus, pomodoro, aglio, cipolla e spezie, pare sfuggire a qualsiasi logica culinaria. Eppure, se cucinati da mani esperte, gli ingredienti si fondono armoniosamente in una pietanza deliziosa dal sapore unico nel mondo arabo. Quale miglior metafora per l’Egitto di oggi? Un Egitto in rivoluzione che tenta di fondere mille anime, antiche e recenti, in una nuova identità, che alcuni vorrebbero monolitica e altri multicolore. Mille anime che potrebbero idealmente unirsi, come gli ingredienti del kushari, per dar vita a un sapore unico e squisito, o che potrebbero annientarsi fra acute discordanze. Un Egitto in cammino che è impossibile cogliere da una sola angolatura. È questo l’Egitto che si tenterà di raccontare in questo blog.

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