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I patriarchi d’Oriente: «L’aggressione contro i cristiani ha preso una brutta piega»

Terrasanta.net
2 febbraio 2015
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I patriarchi d’Oriente: «L’aggressione contro i cristiani ha preso una brutta piega»
Il patriarca maronita, card. Boutros Rai. (foto: Piotr Rymuza)

La mobilitazione per i cristiani perseguitati in Medio Oriente continua. La scorsa settimana, in Libano, s’è svolta una riunione a cui hanno preso parte i diversi patriarchi orientali. L’intento era di rifare il punto sulla situazione dei cristiani perseguitati dal sedicente Stato Islamico (Is) in Iraq e verificare in quale misura le Chiese orientali possono aiutare i profughi.


(n.k.) – La mobilitazione per i cristiani perseguitati in Medio Oriente continua. La scorsa settimana, in Libano, s’è svolta un’importante riunione a cui hanno preso parte i diversi patriarchi delle Chiese d’Oriente (maronita, greco-ortodossa, melchita, siro-cattolica) oltre al nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Caccia, e a un responsabile delle comunità protestanti.

L’intento era di rifare il punto sulla situazione dei cristiani perseguitati dal sedicente Stato Islamico (Is) in Iraq e verificare in quale misura le Chiese orientali possono aiutare i profughi. Solo in Libano hanno trovato riparo un milione e 167 mila profughi siriani (secondo gli ultimi dati dell’Alto commissariato Onu per il rifugiati) e decine di migliaia di iracheni. Numeri che equivalgono a un terzo della popolazione locale. «È ormai chiaro – hanno denunciato con forza i patriarchi – che l’aggressione contro i cristiani nel nostro mondo odierno sta assumendo una piega molto grave che minaccia la presenza cristiana in numerosi Paesi, e particolarmente in Egitto, in Siria e in Iraq. I cristiani di queste nazioni subiscono aggressioni e crimini odiosi che li spingono ad emigrare arbitrariamente dai loro Paesi, pur facendo parte di un ceppo di cittadini che le popola da oltre duemila anni».

Primi testimoni del martirio dei loro fedeli, gli uomini di Chiesa hanno insistito sulle atrocità commesse: «Tutti sono stati sradicati dalle loro case dal cosiddetto Stato Islamico e sono fuggiti terrorizzati lasciando dietro di sé tutti i propri averi. Le loro chiese e i loro luoghi di culto sono stati violati, le case fatte saltare in aria, le strade imbottite di mine. Prima dell’esodo forzato c’erano 120 mila cristiani (nelle aree ora controllate dal califfato); ora in 60 mila sono sfollati nella provincia (mohafaza) di Erbil e 50 mila in quella di Dohouk» (nella regione autonoma del Kurditan iracheno).

La riunione della scorsa settimana, tuttavia, non voleva essere una semplice occasione per constatare i fatti. Vari responsabili diplomatici hanno preso parte all’assemblea, il che ha permesso agli ecclesiastici di evocare senza mezzi termini il ruolo della comunità internazionale (e in particolare araba) e il loro compito nella ricerca delle soluzioni: «Gli Stati, soprattutto quelli arabi e musulmani, non possono restare silenziosi davanti allo Stato Islamico. Dentro i loro ordinamenti nazionali sono chiamati a promuovere fatwa (cioè pronunciamenti, sentenze) religiose che condannino l’aggressione contro i cristiani, i loro beni, le loro chiese. Occorre anche mobilitare la comunità internazionale per riuscire a estirpare questi movimenti terroristi con ogni mezzo lecito in base al diritto internazionale. È questo il dovere delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale».

I responsabili internazionali sono invitati a fermare il terrorismo e la guerra privilegiando soluzioni pacifiche e seri percorsi di dialogo. Ma i patriarchi non ignorano la rilevanza degli interessi economici e chiedono di «fare pressione con l’uso della forza sui finanziatori di questi gruppi, i trafficanti d’armi e coloro che li addestrano, così da tagliare le gambe alla violenza terrorista». Per il cardinale Bechara Rai, patriarca dei maroniti, che ha accolto nel suo Paese l’assemblea di fine gennaio, la ricerca di soluzioni pacifiche per l’Iraq e per la Siria vale anche per Israele e la Palestina. Ribadendo il proprio appoggio alla soluzione «due Stati per due popoli», il patriarca ha evocato anche la situazione sempre difficile dei profughi palestinesi. Il messaggio è chiaro: è l’intero Medio Oriente che va pacificato. Certamente l’Iraq, ma anche la Palestina.

I leader religiosi cristiani hanno anche voluto richiamare la storica esperienza di coesistenza tra cristiani e musulmani nel corso dei secoli. In quest’ottica le lotte interreligiose non hanno alcun senso, nella misura in cui cristiani e musulmani hanno in comune la stessa cittadinanza e, più o meno, la stessa storia. «I cristiani sono affezionati alla formazione di un’identità nazionale fondata sull’uguaglianza e la cooperazione con tutte le componenti della società, senza alcuna distinzione razziale o religiosa», hanno osservato i presuli, che hanno poi nuovamente ricordato la vicenda dei due vescovi ortodossi di Aleppo, rapiti ormai due anni fa dagli islamisti.

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Ernesto Borghi

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