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Il Custode di Terra Santa ad Assisi: «Papa Francesco ci spinge a volare alto»

Terrasanta.net
27 ottobre 2014
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Il Custode di Terra Santa ad Assisi: «Papa Francesco ci spinge a volare alto»
L'intervento del Custode di Terra Santa in un chiostro del sacro convento di Assisi il 26 ottobre 2014. (foto: Sacro convento - Assisi)

Si è conclusa oggi presso il sacro convento di San Francesco, ad Assisi, una tre giorni di riflessione e preghiera nel 28.mo anniversario dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace voluto nel 1986 da san Giovanni Paolo II. Ieri ha preso la parola anche il Custode di Terra Santa che si è soffermato sulle novità introdotte dal viaggio di Papa Francesco a Betlemme e Gerusalemme.


(g.s.) – Si è conclusa oggi presso il sacro convento di San Francesco, ad Assisi, una tre giorni di riflessione e preghiera promossa nel 28.mo anniversario dell’incontro interreligioso di preghiera per la pace voluto nel 1986 da san Giovanni Paolo II. L’evento promosso dalla diocesi d’Assisi, dal Comune e dalle famiglie francescane, insieme ad altre entità tra cui la comunità monastica di Bose, ha raccolto insieme soprattutto rappresentanti cristiani, ebrei e musulmani.

Ieri, nel corso di un pomeriggio sferzato da un vento gelido, si è svolto un momento di riflessione durante il quale ha preso la parola anche il Custode di Terra Santa, fra Pierbattista Pizzaballa. Nel chiostro del Giardino dei novizi, ai piedi della grande basilica, il padre Custode si è soffermato sull’evento convocato da Papa Francesco nei giardini vaticani l’8 giugno scorso con i presidenti israeliano, Shimon Peres, e palestinese, Mahmoud Abbas. Il discorso ha preso in considerazione anzitutto il viaggio papale di maggio in Terra Santa, caratterizzato da due versanti: il piano ecumenico e quello legato al conflitto israelo-palestinese. La chiave giusta per comprenderlo è la preghiera.

In un intervento appassionato, che merita di essere letto integralmente (chi volesse farlo può cliccare qui per la versione in formato pdf), Pizzaballa ha evidenziato come il Papa, riguardo al conflitto israelo-palestinese, non abbia fatto «discorsi di carattere politico. Non ha detto quasi niente al riguardo. Non è entrato nelle questioni aggiungendo la sua alle migliaia di proposte di soluzione già esistenti e ora pressoché inutili. Egli ha solo voluto portare la sua personale solidarietà e soprattutto la sua preghiera, invitando tutti ad unirsi al lui, senza esprimere giudizi. Ha invitato a pregare perché il Signore dia forza per fare la pace a coloro che ne hanno il potere. Tutto qui».

Così facendo, «il Papa ha portato il discorso su un piano completamente diverso. Ha neutralizzato le attese e le paure della politica, e ha invitato gli uomini e la politica ad allargare lo sguardo e dare alla visione di ciascuno una prospettiva diversa e, forse, nuova. Ha voluto farsi presente con la sua umanità, senza giudicare, condannare, indicare, dare lezioni. Non si è sostituito a nessuno, azzerando così quasi completamente i reciproci divieti».

Un approccio disarmato e spirituale che ha fatto registrare novità anzitutto in campo ecumenico. Il pellegrinaggio di Francesco e del patriarca ecumenico Bartolomeo ha generato novità perché l’abbraccio tra i due successori di Paolo VI e Atenagora è avvenuto non più in periferia, come cinquant’anni fa, ma «nel cuore della Gerusalemme cristiana: il Santo Sepolcro».

L’unicità di questa circostanza non è stata forse ancora compresa appieno. E invece, rimarca il Custode, «in quel momento è crollato un enorme bastione, uno dei grandi contrafforti che sorregge il muro di divisione tra le due Chiese, rendendolo sempre più fragile e cadente. Oltre al momento in sé, commovente e forte, è stata importante la preparazione di tale incontro. Preparazione che è stata realizzata esclusivamente a Gerusalemme, dalle Chiese locali. Non si è dunque trattato di un evento di stranieri ospitato dalle chiese locali, ma di un momento di preghiera organizzato, preparato e voluto dalle Chiese locali, che si sono unite ai loro rispettivi pastori».

«Mesi di discussione su tutti i piccoli dettagli, anche minimi; su chi fa cosa e dove, sulle responsabilità, sulle precedenze, sulla divisione delle responsabilità, sulle presenze, gli inviti. (…) Dopo le iniziali difficoltà a comprendere la natura dell’evento, poco alla volta, inconsapevolmente, ci siamo ritrovati a discutere e a preparare la liturgia insieme, come si fa in qualsiasi realtà ecclesiale: brani biblici, canti, gesti e così via. Una banalità, se si vuole, ma se fatta per la prima volta dopo secoli, assume un valore straordinario di novità e di rinnovamento. Soltanto dopo ci siamo resi conto che abbiamo faticato e lavorato per mesi a costruire insieme una liturgia semplice, quando generalmente la nostra preoccupazione ordinaria a Gerusalemme è quella di marcare le distinzioni tra noi. Abbiamo fatto il contrario di quello che facciamo quotidianamente, e ci siamo ritrovati, re-incontrati in maniera nuova. Nei nostri “incontri condominiali” generalmente discutiamo di come preservare i propri diritti gli uni dagli altri. Per quell’incontro la preoccupazione era come condividere le responsabilità. Una novità e un’indicazione di metodo importante».

Certo non sono mancate le tensioni e fra Pierbattista non le nasconde: «Va detto che non è stato affatto semplice e che il passato non è stato affatto cancellato. Divieti e paletti vari ci sono stati, eccome! Le difficoltà e, in alcuni momenti, il desiderio di mandare tutto all’aria si sono fatti sentire. Bizantinismi vari, dall’una e dall’altra parte, non potevano mancare come non sono mancate forti opposizioni all’iniziativa. Sarebbe ingenuo credere che potesse essere diversamente. La cosa che ha creato maggiore tensione, è stata l’impossibilità di avere un maggiore coinvolgimento di altre Chiese. La delusione di altre comunità a non poter partecipare attivamente a tale incontro è stata forte. Anche questo credo sia importante da segnalare. La delusione era anche espressione, certo, del desiderio di visibilità ad essi negato. Dobbiamo riconoscerlo. Ma bisogna aggiungere che c’era comunque anche il sincero desiderio da parte di tutti di esserci, di essere parte di quest’abbraccio nuovo e straordinario, di essere parte di quel momento storico».

Anche l’invito di Papa Francesco ai presidenti palestinese e israeliano a pregare insieme per la pace ha spiazzato molti. «La ristrettezza dei tempi, le difficoltà tecniche e i forti condizionamenti locali hanno reso impossibile la realizzazione di questa proposta a Gerusalemme. Ma la proposta non è caduta. All’invito reso pubblico, è pervenuta la pubblica risposta positiva dei due Presidenti, che hanno accettato l’invito andando oltre alle diffidenze d’ufficio, obbligando i rispettivi staff a risolvere le loro perplessità e a dare la propria disponibilità all’iniziativa. Si è deciso di farlo, dunque, quest’incontro, cambiando ciascuno la propria agenda per darsi questa priorità. E se a Gerusalemme è ancora difficile perché, come si diceva, i condizionamenti legati all’intreccio delle tensioni politiche e religiose sono ancora troppi, si pregherà a Roma. Quindi non solo con il Papa, ma anche a casa del Papa. Impossibile rifiutare. Ancora una volta si porta la politica e i politici fuori dal loro terreno e ora anche fuori da casa propria».

Provvidenziale la scelta dei tempi. In un primo momento – rivela fra Pizzaballa, che è stato coinvolto dal Papa stesso nell’organizzazione dell’appuntamento romano – «il pensiero comune era che tale momento fosse rimandato ai prossimi mesi. Ci fu comunicato, invece, che era da farsi subito, entro pochi giorni». Visto come sono poi andate le cose risulta evidente che «se non si fosse colto quel momento di grazia, legato al pellegrinaggio in Terra Santa, dopo la crisi che è scoppiata durante l’estate, probabilmente, non sarebbe più stato possibile celebrare quel momento e resteremmo, ora, senza nessun segno, senza alcuna immagine di pace possibile tra i due popoli, ma solo con le macerie lasciate dalla guerra».

«Come per l’incontro al Santo Sepolcro, la ferma volontà dei Presidenti a partecipare all’invocazione, ha obbligato i rispettivi staff ad allinearsi e mettere in secondo piano le attese particolari, le rispettive agende, gli obiettivi diversi. Si sono visti tutti obbligati ad adattarsi all’altro, a cercare di rivedere i propri testi per incontrare il consenso dell’altro e viceversa. Non solo l’evento in sé è stato importante, ma anche la sua preparazione. Si è visto bene che quando c’è una motivazione forte, ci si può incontrare, superando ostacoli di ogni tipo», ha detto il Custode di Terra Santa.

«Molto – ha osservato il frate minore – si è detto sui frutti dell’incontro. O meglio, si è parlato a lungo sul suo “fallimento”, visto che quasi subito dopo si è scatenata una violenza inaudita. (…) Non bisogna avere un approccio consumistico alla preghiera, che non produce risultati, e mai immediatamente. La preghiera introduce ad un atteggiamento, ad una condizione, ad una relazione. La preghiera non produce; la preghiera genera. Non sostituisce l’opera dell’uomo, ma la illumina. Non esonera dal percorso, ma lo indica. E in questo senso, l’incontro di Roma è stato e rimane un segno potente, forte, vincolante. È l’immagine alla quale richiamarsi e che dà speranza a chi non si rassegna alla triste realtà dei nostri giorni. Nessuno si è mai illuso – e fu detto chiaramente – che sarebbe scoppiata la pace, che può essere costruita solo insieme e nei tempi lunghi. Certamente il potere di Satana, che genera divisione, non poteva rimanere inerte. Ma sappiamo che questo finirà un giorno. E avremo bisogno di un segno che ci riporti al comune desiderio di pace, di ritrovare la strada per un modo diverso di stare insieme, di riconoscersi».

Nella prospettiva di fra Pizzaballa, «le letture e le analisi politiche che si sono fatte dopo la visita e dopo l’evento di Roma sono inconciliabili con i gesti di Papa Francesco, con la sua personalità, con l’essenzialità del suo insegnamento, con una semplicità che è espressione di limpidezza. Mi sembra che non riflettano il rispetto dovuto alla figura del Papa, anche a prescindere dalla figura di Francesco, il Papa venuto dalla fine del mondo. Il Papa è persona religiosa, il suo discorso deve raggiungerci là dove noi non possiamo fingere a noi stessi. Se non partiamo da qui, invalidiamo le nostre aspettative, i nostri giudizi, il bilancio stesso dell’incontro di preghiera e della sua visita in Terra Santa. Terra che soffre di già troppe superficiali analisi, che è ferita da giudizi partigiani, contesa e violata quando ci si dimentica che è Terra di salvezza, Terra di Dio. Quelle letture sono anche ingiuste nei confronti dei tanti israeliani e palestinesi, religiosi e laici, che quotidianamente s’impegnano, andando contro corrente, e lottano per continuare a volersi bene. Per questo mi piace il volare alto del Papa: il suo abbraccio a tutte le fedi della Terra Santa espresso nell’abbraccio ai suoi due Amici; l’aver tenuto uniti nel suo cuore israeliani e palestinesi, rivolgendosi principalmente all’Uomo; il mettere al primo posto i poveri, evidenziando le diverse necessità di questi popoli. Papa Francesco ha voluto volare alto, fuori dalle pastoie quotidiane per potersi immergere nel cuore della quotidianità con motivazioni che la rendono diversamente vivibile; fuori dal groviglio di ostacoli insuperabili per scoprire e osare una via nuova. Volare alto non è nascondere i problemi, ma liberarci dalla paura, osare, accettare la sfida, fidarsi del futuro».

«Lo “spirito di Assisi” – ha concluso il padre Custode – non ha esaurito la sua vocazione, dunque. La giornata di preghiera a Roma non è stata inutile. Sono tanti nel mondo, anche in Terra Santa, coloro che, oltre le bombe, hanno bisogno di un segno, di un incoraggiamento, di uno slancio, per continuare a guardarsi negli occhi, ad alzare lo sguardo verso l’unico Padre di tutti e riconoscersi perciò fratelli. Può sembrare un sogno affermare questo ora. È invece la cosa più vera, la realtà più bella della Terra Santa, alla quale guardare e della quale l’incontro di Roma è il segno più potente, incancellabile e consolante».

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