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Il califfato fa breccia tra i giovani? Governi in allarme

Terrasanta.net
11 luglio 2014
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Con la proclamazione del nuovo Stato islamico in Iraq e Siria, e i successi militari dei combattenti islamisti, cresce in molti Paesi il timore di un «contagio» fondamentalista tra i più giovani. La Turchia starebbe adottando misure concrete per impedire l’arruolamento di cittadini turchi nelle file della guerriglia jihadista. Anche i governi europei si attrezzano.


(c.g.) – Con la proclamazione del «califfato» (il sedicente Stato islamico) e i successi militari dei combattenti islamisti in Iraq e Siria, cresce in molti Paesi, anche europei, il timore di un «contagio» fondamentalista tra i più giovani.

La Turchia, secondo il quotidiano di Istanbul Hürriyet, starebbe adottando misure concrete per impedire l’arruolamento di cittadini turchi nelle file della guerriglia jihadista all’estero. La polizia segreta ha interrogato 370 famiglie di ragazzi che nei mesi scorsi sono partiti per combattere in Siria ed Iraq, con l’obiettivo di delineare il profilo di chi decide di abbracciare la guerriglia. La maggior parte dei ragazzi in questione – solo raramente con precedenti penali – sarebbe stato educato in scuole islamiche e non avrebbe più da tempo legami con le famiglie di origine. Secondo i servizi segreti turchi sono tra i 600 e i 700 i cittadini turchi arruolati nelle file dello Stato islamico (dell’Iraq e del Levante, Isil), l’organizzazione che ha appena proclamato il califfato tra Siria e Iraq; inoltre 163 famiglie turche hanno denunciato di recente la scomparsa dei propri figli, partiti per combattere in Siria; mente negli ultimi due mesi la polizia turca avrebbe arrestato 13 cittadini turchi, impedendo in questo modo che si arruolassero nei ranghi dell’Isil.

Il timore del «contagio» fondamentalista tocca da vicino anche i Paesi europei, Italia compresa. In particolare, da noi i più esposti a subire il fascino dell’arruolamento per la guerra santa, sarebbero i giovani di seconda generazione, figli di cittadini immigrati provenienti da Paesi di tradizione musulmana. Gilles de Kerchove, il coordinatore dell’Unione Europea per l’antiterrorismo, a giugno ha dichiarato che sono almeno 2 mila i miliziani europei che in questo momento stanno combattendo in Siria, assieme a 5 mila nordafricani e a 500 combattenti dei Balcani. Secondo il ministro dell’Interno francese, Bernard Cazeneuve, i miliziani francesi in Siria sarebbero circa 300. Fonti del governo di Parigi riportate dalla Bbc, affermano che ogni giorno due o tre giovani francesi lascerebbero il Paese per unirsi a gruppi islamisti all’estero; e almeno 100 di loro, dopo un periodo di guerra, sarebbero tornati in Francia. Proprio questi «reduci» sono motivo di grande apprensione. La paura è che al loro ritorno, con la pratica nell’uso delle armi e la formazione fondamentalista acquisita, diventino in patria un potenziale rischio per la sicurezza. Come è già capitato nel caso di Mehdi Nemmouche, cittadino francese reduce dalla Siria, arrestato lo scorso maggio per l‘omicidio di quattro persone al Museo ebraico di Bruxelles, in Belgio.

Sempre secondo Hürriyet, nel loro incontro dello scorso 7 luglio a Milano, i ministri dell’Interno dell’Unione Europea, avrebbero proprio messo a punto un piano per fermare la minaccia costituita dal ritorno a casa dei jiadisti europei, con un accordo operativo che coinvolge Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Spagna, Svezia e Italia. E la Francia avrebbe ipotizzato il provvedimento di negare l’espatrio – per un periodo di sei mesi – alle persone sospettate di simpatie fondamentaliste.

Intanto anche in Libano cresce il timore di un contagio fondamentalista: il quotidiano arabo Ashraq Al-Awsat ha intervistato numerosi cristiani libanesi sul tema dell’avanzata di Isil: Maha Yunis, cristiana di 50 anni e madre di tre bambini, intervistata dal quotidiano, ha detto che i successi di Isil sono un «incubo» che le procurano crisi di pianto e inappetenza. «Sono stata completamente depressa per più di un mese, temo per il mio futuro e per quello dei miei figli. Io sono contraria ad Hezbollah e non mi piace la componente armata della sua organizzazione. Ma dopo aver visto come si comporta Isil desidero che Hezbollah si rafforzi per combattere Isil. Hezbollah è mille volte meglio di Isil». Anche un’altra cristiana Naya Ghusn, di 28 anni, ha rivelato al giornale che teme la crescita di Isil in Libano. «Prima non ci credevo. Ma oggi, con la presenza del califfato a poche decine di chilometri dai nostri confini, temo che possano arrivare fin qui nell’indifferenza dell’opinione pubblica internazionale… L’aumento del terrorismo nella regione offre ad Hezbollah la giustificazione per combattere in Siria e per far entrare le armi in Libano…».

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