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Al Getsemani un esame di coscienza per il Papa e i religiosi

Giuseppe Caffulli, da Gerusalemme
26 maggio 2014
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Al Getsemani un esame di coscienza per il Papa e i religiosi
Nella basilica dell'Agonia, al Getsemani, Papa Francesco incontra i religiosi e consacrati. (foto: Uri Lenz/pool/Flash90)

Per ben due volte Papa Francesco ripete: «Chi sono io davanti al Signore che soffre?». La basilica del Getsemani è gremita di sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e consacrati. L’incontro del Getsemani è prima di tutto un profondo esame di coscienza che il Papa propone a se stesso, ai consacrati, ma anche a tutti i cristiani, alle prese tutti i giorni con tradimenti e debolezze.


Per ben due volte Papa Francesco ripete: «Chi sono io davanti al Signore che soffre?». La basilica del Getsemani è gremita di sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e consacrati. All’esterno la calura di questa primavera inoltrata inizia a gradualmente a spegnersi. E le fronde degli ulivi dell’orto sono mossi dal vento che sale dall’Ophel.

All’interno della basilica – dove è stato accolto in modo molto affettuoso soprattutto dalle numerose suore presenti – Papa Francesco si inginocchia sulla pietra che ricorda l’Agonia di Gesù, la sua lotta nel momento in cui sta per assumere su di sé la croce di tutta l’umanità.

L’incontro del Getsemani è prima di tutto un profondo esame di coscienza che il Papa propone a se stesso, ai consacrati, ma anche a tutti i cristiani, alle prese tutti i giorni con tradimenti e debolezze. Un invito a guardare in faccia la qualità della propria testimonianza cristiana. E a trovare la forza di superare le prove che la vita ci pone incessantemente davanti.

Nell’ora della prova «Gesù ha sentito la necessità di pregare e di avere accanto a sé i suoi discepoli, i suoi amici, che lo avevano seguito e avevano condiviso più da vicino la sua missione. Ma qui, al Getsemani, la sequela si fa difficile e incerta; c’è il sopravvento del dubbio, della stanchezza e del terrore. Nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i discepoli assumeranno diversi atteggiamenti nei confronti del Maestro: di vicinanza, di allontanamento, di incertezza».

Papa Francesco guarda i presenti, sembra interpellarli uno a uno. «Farà bene a tutti noi, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, seminaristi, in questo luogo, domandarci: chi sono io davanti al mio Signore che soffre? Sono di quelli che, invitati da Gesù a vegliare con Lui, si addormentano, e invece di pregare cercano di evadere chiudendo gli occhi di fronte alla realtà? Mi riconosco in quelli che sono fuggiti per paura, abbandonando il Maestro nell’ora più tragica della sua vita terrena? C’è forse in me la doppiezza, la falsità di colui che lo ha venduto per trenta monete, che era stato chiamato amico, eppure ha tradito Gesù? Mi riconosco in quelli che sono stati deboli e lo hanno  rinnegato, come Pietro? Egli poco prima aveva promesso a Gesù di seguirlo fino alla morte (cfr Lc 22,33); poi, messo alle strette e assalito dalla paura, giura di non conoscerlo. Assomiglio a quelli che ormai organizzavano la loro vita senza di Lui, come i due discepoli di Emmaus, stolti e lenti di cuore a credere nelle parole dei profeti (cfr Lc 24,25)?».

Il Getsemani è il luogo della prova, dell’abbandono. Ma anche il posto in cui lo «stare accanto a Gesù» – come Maria e Giovanni –, condividendo la sua sorte e la soprattutto sopportando con lui il peso della croce, diventa la risposta. «Quando sul Golgota tutto diventa buio e ogni speranza sembra finita, solo l’amore è più forte della morte. L’amore della Madre e del discepolo prediletto li spinge a rimanere ai piedi della croce, per condividere fino in fondo il dolore di Gesù. Mi riconosco in quelli che hanno imitato il loro Maestro e Signore fino al martirio, testimoniando quanto Egli fosse tutto per loro, la forza incomparabile della loro missione e l’orizzonte ultimo della loro vita? L’amicizia di Gesù nei nostri confronti, la sua fedeltà e la sua misericordia sono il dono inestimabile che ci incoraggia a proseguire con fiducia la nostra sequela di Lui, nonostante le nostre cadute, i nostri errori e i nostri tradimenti».

Ringraziando i tanti religiosi e religiose di Terra Santa, i sacerdoti e i consacrati per la loro presenza e il loro servizio in Terra Santa, il Papa ha invitato a «confidare sempre nella grande bontà e nella infinita misericordia» del Signore, che «ci prende sempre  per mano, perché non affoghiamo nel mare dello sgomento. Egli è sempre al nostro fianco, non ci lascia mai soli. Dunque, non lasciamoci vincere dalla paura e dallo sconforto, ma con coraggio e fiducia andiamo avanti nel nostro cammino e nella nostra missione».

Al termine, un pensiero ai cristiani di Gerusalemme (moltissimi dei quali non hanno potuto incontrare il Papa). «Conosco bene le vostre difficoltà- ha detto Francesco – e vi esorto ad essere nella vostra città testimoni di risurrezione».

Prima di lasciare il Getsemani alla volta del Cenacolo per la celebrazione eucaristica che conclude il pellegrinaggio di Bergoglio in Terra Santa, il Papa ha piantato un ulivo nel giardino del Getsemani, come già fece Paolo VI. Un ulivo che racconterà  nei secoli a venire le speranze di pace e la testimonianza di fede che Papa Francesco ha voluto seminare con la sua presenza in questa terra.

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