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Belvoir, la stella del Giordano

Giuseppe Ligato
16 dicembre 2013
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Belvoir, la stella del Giordano
Una veduta dall'alto delle vestigia del Forte di Belvoir, nella Valle del Giordano, in Israele.

Le possenti e squadrate strutture del castello di Belvoir (in ebraico Kokhav ha Yarden, «Stella del Giordano», in arabo Kaukab al-Hawa, «Stella dei Venti») furono ammirate anche da Lawrence d’Arabia, studioso di architettura crociata prima di dedicarsi alle rivoluzioni arabe. Sorgono su una collina, 20 chilometri a sud del lago di Tiberiade.


Le possenti e squadrate strutture del castello di Belvoir (in ebraico Kokhav ha Yarden, «Stella del Giordano», in arabo Kaukab al-Hawa, «Stella dei Venti»), ammirato anche da Lawrence d’Arabia, studioso di architettura crociata prima di dedicarsi alle rivoluzioni arabe, sorgono su una collina, 20 chilometri a sud del lago di Tiberiade, in una posizione ideale per il controllo delle comunicazioni e in corrispondenza di un punto di attraversamento del Giordano che nel 1113 aveva già visto una pesante sconfitta cristiana. Appartenente all’Ordine militare dell’Ospedale di San Giovanni, Belvoir era uno di quei castelli «fortificatissimi e inespugnabili» costruiti dopo il fallimento del tentativo di sottomettere l’Egitto, con il quale si era compromesso anche l’Ordine degli ospitalieri – ormai convinti a modificare la propria strategia, badando più alla difesa che all’attacco.

Così a Belvoir troviamo non solo la struttura concentrica articolata su successive linee di difesa oltre al fossato, ma anche mura spesse quattro metri insieme a cisterne che con i loro oltre 600 metri cubi di acqua dovevano poter rifornire la guarnigione per poco meno di un anno, prima che l’acqua piovana le riempisse nuovamente integrando il contributo di una sorgente locale. Si vedono ancora, fra i blocchi di basalto nero alternati con la più chiara pietra calcarea, i resti delle torri, massicce e rettangolari, disposte agli angoli e talvolta pure lungo i lati; ne erano dotate entrambe le cinte rettangolari, attraversate da passaggi segreti per eventuali sortite. La scelta di privilegiare solidità e durata più che nelle precedenti costruzioni si dimostrò saggia. Dopo avere annientato nel 1187 templari, ospitalieri ed esercito del re di Gerusalemme presso i non lontani Corni di Hattin, Saladino investì Belvoir (un suo vecchio progetto) e l’assedio sarebbe durato un anno e mezzo.

Il castello era attrezzato per realizzare una «difesa attiva», creando una situazione in cui i reciproci bombardamenti prevalevano sugli assalti veri e propri: dardi e pietre venivano scagliati da torri e mura con tali effetti che nessuno degli assedianti poteva circolare fra le tende. Ma nemmeno il sultano oziava: i suoi arcieri furono infine in grado di impedire letteralmente ai difensori di esporre la testa al di sopra del bordo delle mura, e dopo che i suoi genieri e serventi delle catapulte ebbero «ammorbidito» adeguatamente il castello, un tratto della cortina muraria esterna crollò; prima di cedere anche le fortificazioni più interne, gli ospitalieri ottennero il 5 gennaio 1189 quella resa condizionata (il castello in cambio della vita) che prima avevano sdegnosamente rifiutato di accettare dal Saladino. Occupato Belvoir, il sultano fece demolire la chiesa e riparare le mura, ma durante la quinta crociata (1217-1219) lo smantellamento fu sistematico, conformemente al progetto di non lasciare ai crociati strutture impiegabili in futuro.

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