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Israele, un dramma riaccende il dibattito sull’aborto

Giorgio Bernardelli
30 ottobre 2012
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È una tragedia che non ha fatto notizia fuori dai confini di Israele. Ma la morte del diciottenne Raz Atias ha riportato in primo piano nel Paese il dibattito sull’aborto. Il giovane Atias è infatti morto qualche giorno fa in un conflitto a fuoco con la polizia che stava cercando di fermare l’omicidio-suicidio suo e della fidanzata rimasta incinta.


È una tragedia che non ha fatto notizia fuori dai confini di Israele. Ma la morte del diciottenne Raz Atias ha riportato in primo piano nel Paese il dibattito sull’aborto. Il giovane Atias è infatti morto qualche giorno fa in un conflitto a fuoco con la polizia che stava cercando di fermare l’omicidio-suicidio suo e della fidanzata rimasta incinta.

Una vicenda dolorosa e complicata, come riassume bene l’articolo di Arutz Sheva che rilanciamo qui sotto: pare infatti che i genitori dei due giovanissimi ragazzi protagonisti di questa storia volessero l’aborto come soluzione. Ma che la ragazza, invece, sia stata convinta a non abortire da una donna legata a Efrat, l’associazione ebraica paragonabile al nostro Movimento per la vita. Ma a quel punto – forse temendo la pressione dei loro genitori – avrebbero preso la decisione folle di suicidarsi insieme. Raz avrebbe rubato di nascosto la pistola al padre e si sarebbero recati in una foresta vicino a Beit Shemesh. Avrebbe anche annunciato però il gesto estremo con un messaggio inviato alla redazione del notiziario di Channel 2, da dove è partita la segnalazione alla polizia che li ha scovati in tempo. A quel punto il ragazzo avrebbe sparato agli agenti rimanendo poi ucciso nel conflitto a fuoco.

In un Paese come Israele in cui lo scontro tra laici e religiosi è sempre un tema all’ordine del giorno, all’indomani di questa tragedia nell’occhio del ciclone sembra essere finita Efrat, l’associazione antiabortista, che qualcuno sui media ha apertamente accusato di responsabilità morale nella morte di Atias. Una strumentalizzazione che mostra in maniera chiara come un certo laicismo non conosca barriere geografiche e religiose. Tra l’altro non è nemmeno del tutto corretto farne una battaglia di religione, perché all’interno del mondo ebraico non esiste una posizione univoca sull’aborto. E anche per questo motivo la legge israeliana in materia è molto permissiva.

Un atteggiamento diverso è invece quello proposto sul sito di Yediot Ahronot da Hagai Segal nel commento intitolato Pistole e aborti che linkiamo qui sotto. Segal denuncia espressamente il clima da caccia alle streghe scatenatosi contro Efrat. E afferma che «anche quanti sono contrari a questa associazione dovrebbero perlomeno ammettere che mette al centro il valore della vita. E che il suo messaggio è l’esatto opposto rispetto alla pistola utilizzata dal tragico eroe di questa vicenda».

Sarebbe infine anche il caso di cogliere l’occasione per guardare meglio dentro il fenomeno degli aborti in Israele. Fortunatamente meno diffuso rispetto ai Paesi occidentali, ma che – come si può leggere nei dati dell’ultima relazione del ministero della Sanità che abbiamo ripreso dall’archivio del Jerusalem Post – comporta comunque circa 20 mila interruzioni volontarie di gravidanza all’anno. Una ferita che resta sempre doloroso veder sbandierata come un diritto.

Clicca qui per leggere su Arutz Sheva un riassunto della vicenda di Raz Atias

Clicca qui per consultare il sito di Efrat

Clicca qui per leggere l’editoriale di Hagai Segal su Yediot Ahronot

Clicca qui per leggere alcuni dati sull’aborto in Israele pubblicati qualche mese fa dal Jerusalem Post

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