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Molto più a sud di Arcore…

Giorgio Bernardelli
19 gennaio 2011
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Molto più a sud di Arcore…
Il ministro della Difesa israeliano Ehud Barak.

Sulla stampa italiana in questi giorni passano praticamente inosservate due notizie dal Medio Oriente con cui potremmo trovarci a fare i conti molto presto. Da una parte il divorzio di Ehud Barak dal Partito laburista; dall'altra la nuova escalation della tensione a Beirut dopo l'uscita di Hezbollah dal governo libanese di unità nazionale.


Mentre l’Italia ruota interamente intorno ad Arcore, passano praticamente inosservate due notizie dal Medio Oriente con cui potremmo trovarci a fare i conti molto presto. Da una parte il divorzio di Ehud Barak dal partito laburista, con la scissione e la nascita del nuovo mini-partito Atzmaut che continuerà a garantire i numeri al governo Netanyahu. Dall’altra la nuova escalation della tensione a Beirut dopo l’uscita di Hezbollah dal governo di unità nazionale con il riemergere del nodo delle responsabilità sull’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri. Vi invito a tenere d’occhio le due vicende insieme e spiegherò il perché.

Partiamo da Barak: se c’è una cosa che non può certo avere sorpreso i lettori di questa rubrica è il fatto che sia esplosa la questione laburisti nel governo Netanyahu; lo avevamo indicato fin dall’inizio come l’anello debole della compagine che sostiene l’attuale governo israeliano. Alla fine Barak si è comportato da Barak: quando ha visto che non aveva più in mano il partito e che gli altri lo avrebbero costretto a uscire dal governo, se ne è andato lui inventandosi una nuova forza politica insieme ad altri quattro dei tredici deputati laburisti che il partito contava alla Knesset. A quel punto altri tre ministri si sono dimessi e ciò che resta della forza politica che ha fatto la storia della sinistra israeliana è uscito dalla maggioranza. Nonostante questa defezione, grazie al gruppetto di Barak, Netanyahu può comunque contare su una maggioranza di 66 deputati sui 120 della Knesset. Mentre Atzmaut stabilirà una specie di record mondiale della politica: sui suoi cinque deputati quattro saranno ministri.

Ovviamente questo è il tema del giorno in Israele e a dire la verità di gente tenera con Barak nei commenti se ne trova davvero poca. Tra le tante analisi, però, credo possa essere interessante soffermarsi in particolare su due articoli. Innanzi tutto quello di Avraham Burg pubblicato su Yediot Ahronot. La firma qui pesa: l’autore è un’ex giovane promessa laburista, ex presidente della Knesset (il Parlamento israeliano – ndr), che ha lasciato la politica sbattendo la porta qualche anno fa. Per scrivere poi Sconfiggere Hitler, un libro molto bello sulla necessità per Israele di liberarsi dei fantasmi del passato per affrontare le sfide del presente (è uscito anche in italiano, edito da Neri Pozza).

Burg è da anni un sostenitore della necessità di una nuova forza di sinistra in Israele che sappia andare oltre un Partito laburista ormai sempre più in crisi. E ovviamente nell’articolo a commento dell’epilogo della vicenda Barak scrive che questo è il momento buono per realizzare il progetto. Ma la parte più interessante della sua analisi secondo me è un’altra: è il bilancio dei vincitori e dei vinti in questa storia. E Burg – secondo me a ragione – assegna la palma del vincitore all’ultra-nazionalista Avigdor Lieberman. Perché alla fine con questa mossa Barak ha chiuso definitivamente il campo all’ipotesi del governo che sarebbe piaciuto a Washington, quello in cui Netanyahu si liberava di Yisrael Beitenu e imbarcava Kadima, scegliendo di andare avanti davvero nel negoziato con i palestinesi. D’ora in poi a Gerusalemme non si muoverà foglia che Lieberman non voglia. Perché l’unica alternativa per Netanyahu e Barak sarebbero le elezioni, con esiti probabilmente disastrosi per i loro partiti.

A meno che… E qui entra in gioco la seconda analisi che rilancio, quella proposta da Yussi Gurvitz sul blog pacifista israeliano +972. C’è solo una carta che può ridare fiato a Netanyahu e Barak in questo momento: una nuova guerra. Di quelle in cui puntualmente il Paese sotto attacco si compatta e il ministro della Difesa diventa la star del momento. Gurvitz secondo me va un po’ troppo in là con la fantasia, dicendo che questo è il contesto ideale per l’attacco all’Iran. Non ci credo: con i rapporti già molto tesi con Washington sarebbe un suicidio politico per Israele. Ci sarebbe sempre l’alternativa Gaza, e infatti nelle ultime settimane la tensione là è tornata a crescere. Ma Hamas – almeno per il momento – non sembra abboccare e sta molto attenta a che la tensione non superi un certo livello.

E allora ecco che veniamo al Libano, che già da solo è di nuovo sul punto di esplodere. I pericoli li racconta con grande chiarezza l’editoriale di The Daily Star, il quotidiano libanese che rilanciamo qui sotto. Racconta di un episodio inquietante avvenuto ieri mattina: nelle strade di Beirut hanno fatto una fugace apparizione milizie armate di Hezbollah. Un evidente prova di forza dimostrativa avvenuta proprio alla vigilia di un estremo tentativo di mediazione tra le parti che vede in queste ore in prima fila il Qatar e la Turchia. In una situazione del genere che cosa potrebbe succedere se – per motivi di «equilibri interni» –  Hezbollah scegliesse come nel 2006 la strada della provocazione verso Israele, facendo partire qualche missile verso la Galilea?

Piccolo dettaglio: in mezzo ci sono 2 mila soldati italiani dell’Unifil. Ma di questo sui giornali di Arcore e dintorni oggi non si parla

Clicca qui per leggere il commento di Avraham Burg

Clicca qui per leggere il commento di Yossi Gurvitz su +972

Clicca qui per leggere l’editoriale del Daily Star

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