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Voci dal Sinodo: Islam ed emigrazione sfide per la sopravvivenza

Manuela Borraccino
12 ottobre 2010
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Voci dal Sinodo: Islam ed emigrazione sfide per la sopravvivenza
I padri sinodali in preghiera con il Papa durante la prima giornata dei lavori.

«La sopravvivenza delle Chiese del Medio Oriente dipende dal rapporto con i musulmani». Nel suo intervento in aula non ha usato giri di parole l'arcivescovo di Kirkuk dei caldei, mons. Louis Sako, per andare al cuore del problema principale della Chiesa in Iraq. In assemblea è risuonata la richiesta di includere nel collegio che elegge il Papa anche i patriarchi delle Chiese orientali.


(Roma) – «La sopravvivenza delle Chiese del Medio Oriente dipende dal rapporto con i musulmani». Non ha usato giri di parole l’arcivescovo di Kirkuk dei caldei, mons. Louis Sako, per andare al cuore del problema principale della Chiesa in Iraq, dove dal 2003 ad oggi almeno 825 cristiani sono stati uccisi e dove occorre «unire le voci per denunciare il grande affare economico del commercio delle armi, una vera minaccia di guerre nella nostra regione». Quello del presule iracheno è stato uno dei 33 interventi, ai quali si sono aggiunti 19 interventi liberi ieri sera sempre alla presenza del Papa, che si sono succeduti fra ieri e oggi nel Sinodo delle Chiese del Medio Oriente, secondo quanto riportato oggi dal portavoce del gruppo italiano, padre Giorgio Costantino.

La congregazione odierna si è aperta con le parole del decano del collego cardinalizio, cardinale Angelo Sodano, sulla necessità di lavorare tutti insieme «per preparare un’alba nuova per il Medio Oriente». «Certo, è urgente – ha detto – favorire la soluzione del tragico conflitto israelo-palestinese. Certo, è urgente operare perché terminino le correnti aggressive dell’islam. Certo dovremo sempre chiedere rispetto per la libertà religiosa di tutti i credenti». In queste sfide, ha rimarcato, le Chiese del Medio Oriente non sono sole.

Monsignor Sako, dal canto suo, ha puntato l’indice contro il terrorismo e l’estremismo violento che hanno travolto in questi anni l’Iraq e che rendono «vitale» il dialogo con i musulmani fra i quali «non tutti sono estremisti». «Ritengo vitale – ha detto l’arcivescovo caldeo – che cristiani e musulmani  studino la situazione attuale per sviluppare strategie comuni per una cultura di convivenza e per il rispetto della libertà di religione. Dobbiamo lavorare per una comprensione reciproca. I cristiani devono poter partecipare alla vita pubblica nei loro Paesi, e i musulmani devono aprirsi alla società civile». «Senza dialogo con i musulmani non ci saranno pace e stabilità. Insieme possiamo eliminare le guerre e tutte le forme di violenza». Occorre anche denunciare il traffico di armi nella regione, «dove le parole del Papa Giovanni Paolo II si sono tragicamente avverate: “la guerra è un’avventura senza ritorno”».

Il presule ha messo il dito sulla piaga dell’emigrazione. «Il mortale esodo che affligge le nostre Chiese non potrà essere evitato. L’emigrazione – ha detto – è la più grande sfida che minaccia la nostra presenza». Monsignor Sako ha ricordato come i cristiani in Medio Oriente fossero nel XX secolo il 20 per cento, mentre oggi sono meno del 10 per cento. In Iraq «oggi sono tra i 400 e i 500 mila, molti sono stati uccisi o costretti a fuggire». Per questo, ha detto, il Sinodo non deve essere «un momento celebrativo» ma un’opportunità «per ravvivare le chiese e avere rapporti più veri con le Chiese e con i musulmani».

«Le Chiese orientali, ma anche la Chiesa universale – ha detto – devono assumersi le proprie responsabilità e trovare con la comunità internazionale e le autorità locali scelte comuni che rispettino la dignità della persona umana. Scelte che siano basate sull’uguaglianza e sulla piena cittadinanza, con impegni di partenariato e di protezione. La forza di uno Stato si deve basare sulla credibilità nell’applicazione delle leggi al servizio dei cittadini, senza discriminazione tra maggioranza e minoranza. Vogliamo vivere in pace e libertà invece di sopravvivere».

Anche monsignor Shlomo Warduni, vescovo di Baghdad dei caldei, ha esortato a «guardare al futuro, anche se resta tenebroso, e non più al passato». Occorre rafforzare «il dialogo con i musulmani e il rapporto fra le Chiese». Egli ha anche invocato la creazione di un comitato ecumenico con le Chiese ortodosse e protestanti, così come un comitato di dialogo fra le tre grandi religioni del Medio Oriente e delle altre religioni». «Dovremmo stabilire – ha detto – un forte comitato per difendere gli oppressi e chi non ha diritti, prendere posizione con coraggio contro il fanatismo». Il presule ha chiesto anche la formazione di laici cristiani che si dedichino alla politica, e che possano difendere «la libertà di religione, di coscienza e di espressione».

Gli interventi di stamane hanno visto, tra gli altri, anche quello di padre David Neuhaus, vicario del Patriarcato latino di Gerusalemme per i fedeli ebreofoni. Il gesuita ha parlato della «grande sfida» di preparare il catechismo in ebraico per tutti i bambini cattolici, sia figli di immigrati che rifugiati e arabi, che frequentano le scuole israeliane di lingua ebraica. «La comunità cattolica di lingua ebraica – ha detto – cerca di fare da ponte tra la Chiesa, prevalentemente di lingua araba, e la società israeliana ebraica, cercando di promuovere sia un insengamento di rispetto per il popolo dell’alleanza sia la sensibilità per il grido di giustizia e pace ce si leva fra israeliani e palestinesi. La comunità arabofona e quella ebreofona – ha concluso – devono dare testimonianza e lavorare per la comunione della Chiesa nella terra dove è nata».

Farà discutere, infine, la proposta dell’esarca armeno per l’America Latina e Messico, mons. Vartan Boghossian, che ha chiesto che anche i patriarchi orientali possano partecipare al Conclave. I patriarchi delle Chiese orientali cattoliche – ha detto – per la loro identità di padri e capi di Chiese sui iuris che compongono la cattolicità della Chiesa cattolica, dovrebbero essere, membri, ipso facto, del Collegio che elegge il Sommo Pontefice, senza necessità di ricevere il titolo latino di cardinale. Per lo stesso motivo, dovrebbero anche avere la precedenza su di loro».

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