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Le kefiah palestinesi? Fabbricate in Cina

Irene Panighetti
6 settembre 2010
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Le<i> kefiah</i> palestinesi? Fabbricate in Cina
I macchinari della Herbawi Textile, a Hebron. (foto I. Panighetti)

Un tempo era il simbolo della lotta del popolo palestinese, anche grazie al leader dell’Olp Yasser Arafat, che ne aveva fatto un suo distintivo. Oggi la kefiah è diventato un capo quasi trendy, che ha conquistato il favore della moda e degli stilisti di fama mondiale. Eppure la produzione in Palestina langue, perché anche in questo campo il made in China sbaraglia il mercato.


(Gerusalemme) – Un tempo era il simbolo della lotta del popolo palestinese, grazie al carismatico leader dell’Olp Yasser Arafat, che, sfidando l’etichetta e l’eleganza imposta dagli incontri ufficiali, compariva in pubblico sempre con una kefiah bianca a quadrettoni neri in testa.

Nonostante il passato «militante», oggi la kefiah è diventato un capo quasi trendy, avendo conquistato negli ultimi anni il favore della moda e degli stilisti di fama mondiale, che non esitano a proporre stravaganti modelli di kefiah nelle loro boutiques, a prezzi, inutile sottolinearlo, da capogiro.

In Cisgiordania questo simbolo di una resistenza fisica e morale sta diventando sempre più un capo raro, anzi, unico, in particolare se si cercano le kefiah originali, vale a dire prodotte in loco. Sul mercato infatti impera, anche per questo prodotto, il made in China, etichetta nascosta alla meglio dai commercianti ma pur sempre visibile a chi la cerca sulle kefiah esposte in quasi tutti i negozi per turisti della Palestina, dalla città vecchia di Gerusalemme, a Gerico, a Betlemme.

Negli ultimi anni il settore è stato investito da una grave crisi e non dà segni di ripresa, anzi: delle oltre cento fabbriche del Duemila, oggi ne resta una, la Herbawi Textile, a Hebron, che non sembra affatto passar un buon momento, sebbene riesca ancora a resistere. Creata nel 1961 da Yasser Herbawi, oggi ultraottantenne, è diretta dai figli, anche se il vecchio fondatore non rinuncia ad andare ogni giorno in fabbrica, dove prende ago e filo e cuce qualche rifinitura, più per passione e per mantenere vivi i ricordi di un glorioso passato che per lavoro propriamente detto.

Non lontano dalla città vecchia, la fabbrica si trova in un capannone con 15 macchinari, di cui però solo 4 sono rimasti attivi e sorge il dubbio che siano stati accesi apposta per la visita, annunciata, di giornalisti italiani: nell’unica stanza della fabbrica il rumore assordante riempie gli spazi, altrimenti piuttosto spogli sotto la fioca luce di un paio di neon, tra le ombre di un solo operaio affaccendato alle macchine. «Produciamo mediamente 3.600 capi al mese – ci ha spiegato uno dei figli, Abd-Alazzeem – e risentiamo della concorrenza cinese che produce molto di più e a prezzi inferiori».

Negli anni Novanta la produzione era ben maggiore: tra le 500 e le 700 kefiah al giorno, con opportunità di lavoro per 10 addetti. Oggi il mercato interno non regge la concorrenza cinese e l’esportazione non basta a compensare il calo delle vendite in Cisgiordania: negli Stati Uniti e in Francia, i maggiori importatori delle kefiah prodotte da Herbawi Textile, vengono esportati solo modesti quantitativi.

Eppure la differenza dalle made in China è evidente, basta scorrere le dita sul tessuto per riceverne una gradevole sensazione tattile: le kefiah di questa manifattura sono compatte, composte al 70 per cento di cotone e il resto in poliestere. I prezzi di fabbrica sono molto buoni, almeno per gli occidentali: le kefiah costano 5 euro a capo, ma nei negozi di Hebron, dove sono rivendute, i prezzi variano a seconda del gestore e della voglia del turista di turno di contrattare. I modelli e i colori sono molteplici, ma il più venduto resta il «modello Arafat», mentre la kefiah rossa, che rimanda alla Giordania e al Fronte Popolare, segue al secondo posto. Le altre, dai colori e dagli accostamenti più vari, si adeguano ai gusti dettati dalle mode del momento, soprattutto all’estero, dove la kefiah ha perso il suo significato politico ed è acquistata anche da clienti che nulla conoscono della sua storia o di quella della Palestina.

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