Questo libro consente a chi lo accosta di fruire di 133 splendide icone arabe dipinte in un lasso di tempo compreso tra l’Undicesimo e il Diciannovesimo secolo. Una breve introduzione iniziale e una nota esplicativa per ogni immagine aiutano a decifrare la simbologia e apprezzare le peculiarità stilistiche delle singole icone.
C’è stato un tempo in cui per contemplare il volto di Cristo, occorreva l’aiuto dell’islam. La storia delle icone arabe nasce nell’Ottavo secolo, quando nei confini degli Stati cristiani, soprattutto nell’impero bizantino, i leader spirituali e temporali faticavano a comprendere come la dolcezza dell’immagine di una Madonna o la forza tranquilla di un Cristo Pantokrator potessero rappresentare un tramite visivo reale tra la Gerusalemme terrena e quella Celeste.
C’è stato un tempo storico in cui si è discusso, con le armi in una mano e la Bibbia nell’altra, se un’immagine dovesse semplicemente mostrare e insegnare un argomento sacro oppure potesse costituire un «luogo» dell’incontro tra lo sguardo dell’uomo e quello di Dio. Quell’inizio burrascoso, che ha relegato provvisoriamente tanto le icone, quanto alcuni dei loro più accesi difensori (come Giovanni di Damasco) nella clandestinità dell’arbitraria, talvolta intermittente tolleranza musulmana, è diventata storia millenaria, con più fioriture produttive nel corso dei secoli, fino alla grande sintesi figurativa compiuta dagli artisti melchiti, i quali, grazie ai rapporti con i latini, mediati dalle missioni cattoliche a partire dal crepuscolo del Sedicesimo secolo, hanno saputo tesaurizzare nelle loro opere in modo armonico e multiforme i cammini religiosi dell’Oriente e dell’Occidente cristiano.
Curato da madre Agnès-Mariam de la Croix, per i tipi di Jaca Book, anche grazie a un contributo del ministero della Cultura francese, Icone arabe è un catalogo che documenta questo imponente esempio di incontro culturale e spirituale raccogliendo 133 splendidi manufatti divisi per gruppi stilistici, legati a diverse aree di produzione (come Aleppo o Gerusalemme) o all’impatto suscitato da alcuni grandi maestri (tra cui il raffinato Michele «cretese») per un totale di ventitré autori certi e dieci anonimi, in un lasso di tempo compreso tra l’Undicesimo e il Diciannovesimo secolo.
Una breve introduzione iniziale e una nota esplicativa per ogni immagine, utile per decifrare la simbologia e apprezzare le peculiarità stilistiche delle singole icone, conducono il lettore attraverso la varietà dei soggetti raccolti: non solo le grandi raffigurazioni frontali della Vergine («della tenerezza», «della passione», «Hodegetria») e di Gesù, ma anche di eventi salvifici dell’Antico Testamento (sacrificio di Abramo, decapitazione dei profeti di Baal da parte di Elia) e del Nuovo (ultima cena, crocifissione, dormizione e assunzione di Maria ecc.), interi inni liturgici come l’Akathistos, riproduzione di santi particolarmente venerati in oriente («militari» e martiri, come Giorgio, Demetrio e i quaranta di Sebaste, o asceti e maestri teologici come i due Simeoni stiliti e Basilio, Antonio, Gregorio teologo e altri).
Come detto in sede di introduzione dalla curatrice, «oltre al piacere estetico e all’apporto di conoscenza che si ricaverà da questo percorso, non bisogna tralasciare il beneficio fondamentale che se ne trarrà: palesare allo sguardo ciò che, nella comune eredità del passato, rappresenta oggi un messaggio per il futuro: ovvero come le culture si fecondino reciprocamente, selezionando il meglio di sé senza mai rinnegare se stesse o annullarsi l’una nell’altra, ma contribuendo, al contrario, all’arricchimento reciproco. Si entrerà insomma, esteticamente e intellettualmente, in un mondo sconosciuto in cui non esiste alcuna barriera nell’insondabile profondità culturale, ma piuttosto un’apertura alle dimensioni del tempo, dello spazio e addirittura dell’eternità, poiché si tratta, per l’arte sacra, di mostrare l’invisibile nel suo mistero di prossimità».