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Lampi di bontà

Giorgio Bernardelli
26 agosto 2010
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Lampi di bontà
Aziz Abu Sarah in ospedale.

Non c'è niente come scoprirsi fragili davanti alla propria vita per aprire ponti inaspettati di pace. È il tema al centro di una riflessione molto bella da cui vogliamo ripartire dopo la pausa estiva. L'ha scritta sul suo blog e sul Jerusalem Post Aziz Abu Sarah, un giornalista palestinese di Gerusalemme molto attivo sul fronte della pace. Ed è una riflessione che nasce da una vicenda personale sofferta. Ve la raccontiamo.


Non c’è niente come scoprirsi fragili davanti alla propria vita per aprire ponti inaspettati di pace. È il tema al centro di una riflessione molto bella da cui vogliamo ripartire dopo la pausa estiva. L’ha scritta poche ore fa sul suo blog e sul Jerusalem Post Aziz Abu Sarah, un giornalista palestinese di Gerusalemme molto attivo sul fronte della pace. Ed è una riflessione che nasce da una vicenda personale sofferta.

Aziz ha infatti scoperto nel dicembre scorso di essere affetto da un cancro alla tiroide: una notizia devastante per un uomo di nemmeno trent’anni. La prima reazione è stata rivolgersi a un altro personaggio molto noto tra gli operatori di pace a Gerusalemme: il dottor Adel Misk, anche lui palestinese di Gerusalemme, che è una delle figure più conosciute del Parents’ Circle (ha perso suo padre, ucciso qualche anno fa da un colono israeliano). Misk l’ha subito portato da una collega, un’endocrinologa ebrea israeliana. E per Aziz è stato l’inizio di un viaggio in prima persona dentro la cooperazione sanitaria tra arabi ed ebrei a Gerusalemme. È stato operato qualche mese fa e ora che si sta riprendendo ha provato a tirare le somme in questo articolo.

«Quando mi hanno operato – scrive Aziz – avevo davanti a me due chirurghi, un arabo palestinese e un ebreo israeliano. E l’anestesista era un russo con molta esperienza e competenza che ha scherzato con me finché mi sono addormentato. La mia vita era nelle mani di un team davvero ideale…

Nel frattempo la mia famiglia aspettava fuori. Mia moglie e mia madre erano entrambe in lacrime, e dopo mi hanno raccontato che a confortarle è stata una donna ebrea che era lì anche lei ad aspettare notizie di un parente in sala operatoria».

«Nel mezzo dell’odio, della rabbia e dell’amarezza di questo conflitto – riflette Aziz – è ancora possibile trovare squarci di bontà. Sfortunatamente questo tipo di luce spesso passa inosservato. Eppure offre un esempio pratico del sogno che noi tutti condividiamo, quello di un futuro dove poter vivere al sicuro e pieni di vita senza paura di essere colpiti».

«Il mio intervento è andato bene e mi sono rimesso molto rapidamente. Ma soprattutto, attraverso questa esperienza dolorosa, ho potuto cogliere un raggio di speranza in quello che sembrerebbe un ambiente senza speranze. Ho molte critiche nei confronti delle strategie e delle politiche di Israele, ma il sistema sanitario pubblico che funziona in Israele e la sua capacità di separare la politica dalla medicina, merita il mio plauso».

«Questo non significa che il sistema sia perfetto. Quali che saranno le decisioni sul futuro di Israele e della Palestina, c’è sempre il rischio che tutto poi venga rovinato da questioni di assicurazioni e burocrazia. Ma ciò che più conta è che i medici israeliani e palestinesi condividono un impegno a favore della vita umana indipendentemente dall’appartenenza etnica, dalla religione o dalla nazionalità. Soprattutto, quando si tratta di scegliere un medico, basiamo la nostra scelte su chi è più capace di promuovere la vita delle persone. Se solo pensassimo la stessa cosa anche quando andiamo a votare…».

Per restare in argomento segnaliamo anche che qualche settimana fa in Canada l’editrice Random House ha pubblicato il libro del dottor Izzeldin Abuelaish, il medico di Gaza che aveva lavorato in un ospedale israeliano e che durante la guerra del 2009 si è trovato a raccontare in diretta su Channel 10 – una delle principali emittenti israeliane – l’impatto di un razzo contro casa sua e la morte di tre sue figlie. Il titolo del libro è già un programma: Io non odierò. Oggi Abuelaish vive con i figli superstiti in Canada, ma ha già detto che tornerà a Gaza. «Molte persone – ha dichiarato il dottor Abuelaish – mi chiedono come abbia potuto scrivere questo libro dopo tanto dolore. Io rispondo che la ferita e il dolore ancora esistono. La sensazione che sei furioso e stai per esplodere ancora esiste, ma io dico che dobbiamo agire per modificare ciò che ci circonda e noi stessi non sulla base della rabbia e della disperazione».

Clicca qui per leggere il testo integrale in inglese del racconto di Aziz Abu Sarah

Clicca qui per leggere dal blog Frammenti vocali in Medio Oriente la traduzione in italiano di alcuni brani di un’intervista rilasciata sul libro dal dottor Abuelaish

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