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Una mostra sul genocidio armeno

13/05/2009  |  Roma
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Una mostra sul genocidio armeno

Una storia terribile e poco nota, persino ancora negata ufficialmente dal governo erede di quello che ne fu la causa: è il Medz Yeghern, il «Grande Male», il genocidio del popolo armeno in Anatolia perpetrato nel biennio 1915-1916. Allo sterminio di un milione e mezzo di persone, il primo sterminio scientificamente attuato nel Ventesimo secolo, è dedicata la mostra fotografica Armin T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915, ospitata alla Casa della Memoria e della Storia di Roma fino al 16 maggio.


Una storia terribile e poco nota, persino ancora negata ufficialmente dal governo erede di quello che ne fu la causa: è il Medz Yeghern, il «Grande Male», il genocidio del popolo armeno in Anatolia perpetrato nel biennio 1915-1916. Allo sterminio di un milione e mezzo di persone, il primo sterminio scientificamente attuato nel Ventesimo secolo, è dedicata la mostra fotografica Armin T. Wegner e gli armeni in Anatolia, 1915, ospitata alla Casa della Memoria e della Storia di Roma fino al 16 maggio. L’iniziativa è curata dell’Aned, l’associazione nazionale degli ex deportati politici nei campi di concentramento nazisti, in collaborazione con l’ambasciata della Repubblica di Armenia, il consiglio della Comunità armena di Roma e il Centro di cultura ebraica «Progetto Memoria».

Protagonista della mostra è Armin T. Wegner, il soldato tedesco che denunciò per primo al mondo il genocidio. Wegner, all’epoca attendente nemmeno trentenne di un ufficiale tedesco di stanza in Anatolia, ebbe la possibilità di viaggiare in lungo e in largo nel Paese e di documentare, soprattutto fotograficamente, l’immane massacro in corso. Scatti impressionanti (qui accanto il dettaglio di una delle foto – ndr), che fissano una verità di morte che a quel tempo non ebbe quasi nessuna eco e che ancora oggi fa fatica ad affermarsi nella memoria storica collettiva.

La denuncia di Wegner, all’epoca, non riuscì a smuovere la comunità internazionale in favore del popolo armeno: un silenzio assordante che colpirà persino Hitler, tanto da costituire un argomento in favore del suo piano di sterminio degli ebrei. «Chi si ricorda oggi degli armeni?», dirà il Führer per mettere a tacere i timori di una mobilitazione internazionale contro la Shoah.

E le fotografie esposte a Roma, a prima vista, potrebbero sembrare scattate in un qualunque lager nazista. Nessuna differenza, a conti fatti: stessa folle pianificazione, stessa crudele razionalità organizzativa. Tutta documentata dall’eroico lavoro di Wegner, che finirà perseguitato da Hitler e persino internato, prima di riuscire a riparare in Italia. Il materiale esposto racconta le tre fasi del piano del governo dei Giovani Turchi, che inseguiva il progetto del «panturchismo», ovvero l’eliminazione fisica dall’Asia Minore di tutte le persone non appartenenti all’etnia turco-musulmana. Prima l’assassinio delle leve intellettuali armene e cristiane, arrestate e uccise il 24 aprile 1915 (nell’anniversario cade oggi la giornata di commemorazione del genocidio), poi lo sterminio di tutti i maschi adulti da lavoro, prima arruolati con l’inganno e poi disarmati e assassinati in massa. In ultimo, donne, anziani e bambini. Alla fine, l’intero popolo armeno in Turchia viene ingoiato nel nulla: bisognerà attendere la fine della Seconda guerra mondiale perché la vicenda venga riconosciuta dalle Nazioni Unite, e ancora oggi il governo di Ankara porta avanti una politica ufficiale negazionista, nonostante le proteste dell’Europa, che ne fa un punto critico della candidatura turca all’ingresso nell’Unione. Anche per questo, il percorso della mostra è un viaggio nella memoria doveroso e necessario.

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