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Oltre Gaza

16/01/2009  |  Milano
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Ormai a Gaza si muore per un braccio di ferro sui dettagli. Ogni ora che passa appare sempre più chiaro che alla fine si arriverà a un cessate il fuoco, grosso modo nei termini indicati dall'iniziativa franco-egiziana. Però - e lo scrivevamo già qualche giorno fa - questa guerra è politica. E allora si va avanti perché ciascuno aspetta il momento giusto per accettare. Quello che gli permetterà di sbandierare come un successo questi ormai 20 giorni di follia. Iniziando già a pensare al dopo - pur consapevoli che in queste ore si muore ancora - segnaliamo tre articoli attinti dalla stampa israeliana e libanese.


Ormai a Gaza si muore per un braccio di ferro sui dettagli. Ogni ora che passa appare sempre più chiaro che alla fine si arriverà a un cessate il fuoco, grosso modo nei termini indicati dall’iniziativa franco-egiziana. Però – e lo scrivevamo già qualche giorno fa – questa guerra è politica. E allora si va avanti perché ciascuno aspetta il momento giusto per accettare. Quello che gli permetterà di sbandierare come un successo questi ormai 20 giorni di follia.

Iniziando già a pensare al dopo – pur consapevoli che in queste ore si muore ancora – segnaliamo tre articoli. Il primo è del solito lucidissimo Akiva Eldar su Haaretz. Che spiega come Israele – se vuole davvero battere Hamas – ora dovrà far seguire a questa guerra un’iniziativa politica coraggiosa che abbia Abu Mazen come protagonista. È l’unica possibilità perché il presidente palestinese non finisca stritolato da questa guerra. Israele dovrebbe riconoscergli il fatto di essere riuscito in questi giorni a tenere sotto controllo la Cisgiordania. «Il ministro degli esteri Livni – scrive Eldar – non deve solo dirci con chi non vuole parlare del futuro di Gaza. Deve dirci anche con chi vuole farlo. È il momento di provare all’elettore palestinese che la strada per mandare Israele fuori dai Territori non sono i confronti a fuoco che danneggiano i civili, ma i confronti tra leader. E questo è anche il momento di mostrare all’elettore israeliano che c’è un partner affidabile per la divisione del territorio. Qualsiasi altro esito dell’operazione "Piombo fuso" – sostiene Eldar – sarà una chiara vittoria di Hamas».

Che questa lucidità, invece, non abbondi in queste ore in Israele lo dimostra la vicenda dell’esclusione dei due partiti arabi Balad e United Arab List-Ta’al dalle elezioni del 10 febbraio. Bocciatura che – come spiega su Yedioth Ahronoth Uri Misgav – la Corte Suprema farà presto rientrare, perché in realtà è priva di ogni fondamento giuridico. La verità è che è stato solo un modo con cui in Commissione elettorale Kadima e i laburisti hanno mostrato i muscoli agli elettori. Con un comportamento destinato solo ad aggiungere benzina sul fuoco al già delicatissimo rapporto con gli arabi-israeliani.

Infine – dal quotidiano libanese The Daily Star – rilanciamo un articolo su quella che è probabilmente la novità diplomatica più significativa per il futuro: il ruolo che nella soluzione del conflitto potrebbe giocare la Turchia. Il premier Erdogan è stato il più attivo in questi giorni sul fronte diplomatico. Mettendo sul piatto sia i rapporti storici della Turchia con Israele (fino a ieri mediava per la pace con la Siria), sia l’indignazione per le vittime civili a Gaza. Hamas ha già lanciato segnali di fumo, dicendo che potrebbe accettare i soldati islamici turchi dalla sua parte del confine tra Gaza e l’Egitto. La Turchia è una pedina importante oggi nel rapporto tra Occidente e mondo musulmano. Fa parte della Nato e ha un esercito tra i più massicci al mondo. È una presenza su cui bisogna scommettere, se non si vuole lasciare il Medio Oriente nelle mani dell’Iran

Clicca qui per leggere l’articolo di Akiva Eldar

Clicca qui per leggere l’articolo di Yedioth Ahronoth

Clicca qui per leggere l’articolo di The Daily Star

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