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Le chiusure di Olmert

19/11/2007  |  Milano
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Stretta finale verso la conferenza di Annapolis. Oggi Olmert ha messo sul tavolo due nuovi importanti biglietti da visita: la promessa che smantellerà gli insediamenti nei Territori non riconosciuti dal governo e che libererà altri 441 prigionieri. Però precisa che negli Usa non si discuteranno direttamente i nodi del conflitto (Gerusalemme, confini, profughi...). Contro questa impostazione «prudente» si è schierato oggi con un articolo Yossi Beilin, protagonista nei negoziati di Oslo e attualmente leader del partito della sinistra pacifista Yahad, in un articolo pubblicato da Haaretz.


Stretta finale verso la conferenza di Annapolis. Oggi Olmert ha messo sul tavolo due nuovi importanti biglietti da visita: la promessa che smantellerà gli outpost (gli insediamenti nei Territori non riconosciuti dal governo e quindi «illegali» per la stessa legge israeliana) e libererà altri 441 prigionieri. Però il premier insiste sul fatto che ad Annapolis non si discuteranno direttamente i nodi del conflitto (Gerusalemme, confini, profughi…). Lo ha ripetuto ancora domenica nell’intervento in apertura della riunione del governo israeliano, diffuso dal sito del ministero degli Esteri. E dietro questa precisazione c’è tutto il problema di tenere insieme la sua maggioranza di governo, dove due partiti – Yisrael Beitenu e lo Shas -, minacciano di non dargli la fiducia.

Contro questa impostazione «prudente» si è schierato oggi con un articolo Yossi Beilin, protagonista nei negoziati di Oslo e attualmente leader del partito della sinistra pacifista Yahad. Nell’articolo pubblicato da Haaretz che qui rilanciamo scrive: «A ogni guidatore principiante si insegna di non immettersi in un incrocio senza sapere prima da che parte bisogna uscire. Il primo ministro Ehud Olmer sta portando Israele al crocevia di Annapolis. Ma se da lì non è deciso ad andare avanti sulla strada che porta alla fine del conflitto, allora sarebbe meglio fare un inversione a U e tornare indietro». Beilin scrive di avvertire pericolosamente la stessa aria che si respirava prima del vertice di Camp David dell’agosto 2000. E invita esplicitamente Olmert a non tirarsi indietro rispetto a questo momento della verità. Cita 65 deputati sui 120 della Knesset che sarebbero favorevoli all’ipotetico accordo anche senza Yisrael Beitenu e lo Shas. C’è però un dettaglio che Beilin non dice ma occorre tenere presente: tra quei 65 deputati 10 sarebbero arabi-israeliani. Dunque il loro, per la prima volta, sarebbe un voto decisivo. Israele è disposto ad accettarlo?

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Francesco D'Assisi

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