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Pentagramma israeliano

02/07/2007  |  Milano
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Pentagramma israeliano

Ecco un compendio che presenta uno spaccato della scena musicale israeliana attraverso un viaggio tra la storia e alcune esperienze personali vissute dall'autore - pianista e direttore d'orchestra toscano - in seguito a incontri o scambi di opinioni. Il percorso delineato da Andrea Gottfried ha inizio con i primi del Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri, con una distinzione fondamentale e cioè la distinzione tra musica ebraica e musica israeliana. Un testo breve ma denso di contenuti.


Il testo scritto da Andrea Gottfried – direttore d’orchestra e pianista toscano – è un breve compendio che presenta uno spaccato della scena musicale israeliana attraverso un viaggio tra la storia e alcune esperienze personali vissute dall’autore in seguito a incontri o scambi di opinioni. Anch’esso, come Israele a tavola, è stato pubblicato in occasione della mostra Israele Arte e Vita 1906-2006, allestita a Palazzo Reale di Milano qualche mese fa.

Il percorso storico delineato da Gottfried ha inizio con i primi del Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri, con una distinzione fondamentale che l’autore ha tenuto a sottolineare nella premessa, e cioè la distinzione tra musica ebraica e musica israeliana, identificando con la prima la musica della religione ebraica, mentre con la seconda quella della Terra d’Israele.

Molto interessante il capitolo intitolato Un ponte tra Oriente e Occidente in cui viene descritta la carismatica ed eccentrica figura di Bracha Zefira (1910?-1990), cantante di origine yemenita, che ha anche studiato a Berlino da uno dei maggiori registi teatrali austriaci del Novecento. Fu la prima artista ad eseguire canzoni arabe ed ebraiche sui palcoscenici israeliani. «La personalità ribelle di Bracha si mostrò fin da subito – scrive l’autore -. Negli anni berlinesi, per esempio fece scalpore il suo presentarsi scalza sul palcoscenico. Quando udiva il suono di un flauto arabo cercava subito un compositore e un poeta che potessero adattare la musica e le parole al suo stile personalissimo. Lo stesso fece con molta musica liturgica, che cantava con testi nuovi».

Il libro prosegue sempre cronologicamente, ma prendendo anche in considerazione alcune tematiche particolari, come, ad esempio, le trasformazioni subite dalla musica israeliana in seguito alle due ondate di immigrazione dall’Unione Sovietica durante gli anni Sessanta e Novanta; oppure la parte dedicata alle danze folkloristiche israeliane o quelle del popolo ebraico.

Un capitolo è invece dedicato alla storia dell’opera israeliana, caratterizzata da personaggi leggendari, che «rinunciarono alla loro carriera e al loro prestigio nei teatri d’opera in tutto il mondo, al fine di realizzare un sogno: costruire una "cattedrale dell’opera nel deserto"».

Viene anche presa in considerazione l’apertura di Israele alle nuove tendenze musicali, diventando in questo modo «globalizzata»; per finire con una domanda che l’autore si pone, espressa dal titolo dell’ultimo capitolo: «Quale mediterraneo?», in cui vengono presentate alcune riflessioni circa l’ambiente musicale israeliano contemporaneo.

Un testo breve ma denso di contenuti, arricchiti anche dalle numerose e utili finestre di approfondimento.

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