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Cardinal Tauran: «Statuto speciale per Gerusalemme»

28/06/2007  |  Roma
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Cardinal Tauran: «Statuto speciale per Gerusalemme»
Il card. Jean Louis Tauran.

Il neo presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, il cardinale Jean Louis Tauran, ha partecipato alla presentazione dell'ultimo volume della rivista Aspenia (Lo Stato degli ebrei) cogliendo l'opportunità per richiamare l'attenzione su quella che il Vaticano considera un tema cruciale per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. «Mi preme parlare dei Luoghi Santi perché è una questione che ci sta molto a cuore e sulla quale la Santa Sede può offrire un contributo concreto» ha spiegato il 27 giugno il porporato, che dal 1992 al 2003 è stato «ministro degli Esteri vaticano» e in tale veste ha seguito passo passo le speranze e i fallimenti del processo di pace in Terra Santa avviato con gli Accordi di Oslo.


La Santa Sede torna a chiedere con forza uno «Statuto speciale internazionalmente garantito», ovvero non modificabile unilateralmente per la Città santa per le tre religioni abramitiche. All’indomani della nomina a presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso (incarico che assumerà dal primo settembre), il cardinale Jean Louis Tauran ha colto l’occasione della presentazione all’Associazione della Stampa estera dell’ultimo volume della rivista Aspenia (Lo Stato degli ebrei) per richiamare l’attenzione su quella che per il Vaticano è fin dal 1947 una questione cruciale per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese e uno dei cardini che hanno ispirato la politica della Santa Sede in Medio Oriente.

«Mi preme parlare dei Luoghi Santi perché è una questione che ci sta molto a cuore e sulla quale la Santa Sede può offrire un contributo concreto» ha esordito il 27 giugno il cardinale francese, che dal 1992 al 2003 è stato «ministro degli Esteri vaticano» e in tale veste ha seguito passo passo le speranze e i fallimenti del processo di pace in Terra Santa avviato con gli Accordi di Oslo, fino ad essere uno dei protagonisti della battaglia diplomatica ingaggiata da Giovanni Paolo II contro la guerra in Iraq.

«Non ci sarà pace in Medio Oriente e specialmente in Israele e Palestina se questo problema dei Luoghi Santi per le tre religioni non viene affrontato in maniera adeguata» ha esordito il cardinale nell’affollato dibattito, alla presenza, fra gli altri, del leader dell’Udc ed ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, del presidente dell’Aspen Institute Italia ed ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, dell’ambasciatore israeliano Gideon Meir e di quello giordano, la principessa Wajdi Al Hashemi.

«La Santa Sede dice questo: Gerusalemme è un luogo simbolico. Ci sono due problemi: uno è di politica territoriale, e di sapere se Gerusalemme deve essere capitale di due Stati. Noi diciamo che questo deve essere oggetto di una trattativa bilaterale tra israeliani e palestinesi. Ma c’è un altro problema, che riguarda lo Statuto dei Luoghi Santi delle tre religioni presenti a Gerusalemme nella Città vecchia. Lì, tra quelle pietre, ebrei, cristiani e musulmani venerano rispettivamente il Muro Occidentale, il Santo Sepolcro e la Cupola della Roccia. Noi diciamo che la presenza di questi Luoghi Santi conferisce alla città di Gerusalemme un carattere sacro e unico, e dobbiamo preservare in futuro questa sacralità e questa unicità. Per questo sosteniamo che questa parte della Città intra Muros dovrebbe essere oggetto di uno Statuto speciale internazionalmente garantito, in modo che in futuro chi avrà la sovranità territoriale e politica su quella parte della Città non possa in maniera unilaterale cambiarne la specificità».

Il porporato ha tracciato un’ipotesi provocatoria ma non peregrina, se si considera quanto accadde a Nazareth tra il 1998 e il 2001, quando una moschea stava per essere eretta nella piazzetta della basilica dell’Annunciazione. «Facciamo un esempio tanto per essere concreti. Supponiamo che un domani la zona della Città vecchia in cui si trova la basilica del Santo Sepolcro venga assegnata alle autorità palestinesi. Supponiamo che un gruppo fondamentalista islamico decida di costruire una moschea sul sagrato della basilica. Se l’autorità palestinese è la sola a decidere, la moschea verrà costruita. Se invece questa parte della città è sotto uno Statuto internazionalmente garantito, non verrà costruita. Come si può fare questo? Sono certo che i giuristi possono trovare molte formule: un gruppo di Paesi può farsi garante di questo Statuto. Non sono stati forse più di 40 i Paesi che hanno accompagnato il processo degli Accordi di Oslo? La cosa importante per noi è che il carattere unico e sacro di questa parte della Città venga salvaguardato come simbolo dell’incontro delle tre religioni monoteistiche. Questo è un problema delle tre religioni perché i credenti di queste tre religioni sono sparsi nel mondo intero, e quindi è normale che la comunità internazionale cooperi in questo salvataggio, per così dire, dell’identità di Gerusalemme. Questo è quello che alla Santa Sede preme e il contributo che possiamo portare».

La Santa Sede non è una potenza politica ma da almeno mille anni agisce da protagonista nella regione. E il cardinal Tauran ha ripercorso le linee guida della politica vaticana in Terra Santa negli ultimi decenni, sottolineando la «continuità» fra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI ma «con una sfumatura»: «Benedetto XVI ha insistito molto in quest’ultimo periodo sulla precarietà della situazione dei cristiani che vivono in Medio Oriente, in particolare con questa emigrazione progressiva, costante, causata dalla situazione politica. I cristiani cercano altrove i mezzi per vivere, e questa è una grande preoccupazione per il Papa. Per questo insiste spesso su questo punto».

Sono soprattutto quattro, ha spiegato Tauran, i princìpi che hanno ispirato la politica della Santa Sede in Medio Oriente: «I Papi hanno sempre voluto rimanere super partes, come ultima istanza per tutte le parti in conflitto e, se richiesti, come ultimi mediatori; la Santa Sede come soggetto di diritto internazionale a carattere religioso non ha mai voluto proporre soluzioni concrete, ma ha cercato piuttosto di facilitarle; riconoscere i diritti legittimi sia degli israeliani sia dei palestinesi ad avere uno Stato, questo perché per la Santa Sede si tratta di un problema di giustizia internazionale; la Santa Sede, infine, non dimentica la presenza di comunità cristiane sia in Israele che in Palestina e ha sempre difeso i loro diritti alla libertà di coscienza e di religione».

Per la Santa Sede, ha detto ancora l’ecclesiastico francese, «la libertà, la sicurezza e la giustizia sono i tre pilastri su cui può riposare una pace giusta: essi sono anche la condizione di una stabilità e di una continuità. Una pace che non sia percepita dalle popolazioni interessate in modo equanime non sarebbe durevole e farebbe germogliare sentimenti di frustrazione».

«È molto importante per noi sottolineare sempre – ha proseguito – che non si tratta di guerra di religione, anche se la religione ha una sua dimensione. Ma non è la religione all’origine di questa crisi. Noi ci siamo sempre preoccupati di dialogare con i responsabili religiosi sia dell’ebraismo che dell’Islam, e questo dialogo ha messo in risalto quanto sia importante favorire le forze moderate di queste due religioni, come abbiamo visto anche in questi ultimi tempi con varie manifestazioni estremistiche».

Nel suo intervento, il cardinal Tauran ha anche indirettamente anticipato quali sarà l’impronta che cercherà di dare al lavoro del Pontificio consiglio di cui ora è responsabile. «Parliamo sempre di islam, ma in realtà esistono parecchi islam al plurale. E ci troviamo oggi in Europa in una situazione paradossale – ha osservato – perché a causa dell’islam abbiamo ora la possibilità di discutere del ruolo delle religioni: è l’islam che ha costretto i governi europei ad accettare che la religione sia un argomento all’ordine del giorno nella sfera pubblica. Questo in sé è un fatto positivo, ma questo islam di cui si parla e che conosciamo è l’islam estremista, che favorisce il terrorismo, che a dire il vero non rappresenta il vero islam ma una perversione dell’islam. Noi dobbiamo aiutare i nostri amici musulmani a riscoprire le radici della loro religione, e favorire i musulmani moderati per avere un dialogo che porti a una convivenza civile e armoniosa e per creare questa fraternità senza discriminazione di cui parla la dichiarazione del concilio Vaticano II, Nostra Aetate».

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