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Turchia, la preoccupazione del Consiglio ecumenico delle Chiese

04/05/2007  |  Milano
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Dopo l'omicidio, il 18 aprile scorso, di tre cristiani laici, dipendenti della casa editrice protestante Zirve, il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese ha scritto all'ambasciatore turco presso la sede ginevrina delle Nazioni Unite per esprimere la sua preoccupazione. La lettera del pastore Samuel Kobia usa toni franchi e chiede al governo turco di condannare le violenze contro le minoranze non solo a parole ma con azioni concrete. Kobia cita anche notizie di complotti per uccidere il patriarca ecumenico Bartolomeo I e il patriarca armeno Mesrob II. L'auspicio del Consiglio ecumenico delle Chiese è che la Turchia voglia voltare pagina e dare maggiori garanzie ai legittimi diritti delle minoranze.


(g.s.) – Il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese (Coe, il massimo organo di coordinamento e comunione tra le Chiese cristiane a livello mondiale, con sede a Ginevra) ha scritto all’ambasciatore turco presso la sede ginevrina delle Nazioni Unite per esprimere preoccupazione per i crimini contro le minoranze religiose che si ripetono in Turchia.

Nella sua lettera del primo maggio scorso all’ambasciatore Ahmet Üzümcü, il pastore Samuel Kobia usa toni molto fermi.

«Come molte altre persone in Turchia e all’estero proviamo una profonda repulsione per le notizie degli atti di violenza (contro i leader e i membri delle minoranze religiose in Turchia)» esordisce Kobia. Che poi continua: «il fatto che questi crimini sembrino motivati da odio per interi gruppi di persone accresce il senso di allarme nelle Chiese e tra le persone di buona volontà in tutto il mondo».

Il segretario generale del Coe menziona gli ultimi e più gravi casi: «i barbari omicidi di tre cristiani a Malatya, il 18 aprile scorso», «l’uccisione dello scrittore armeno Hrant Dink» e di «Andrea Santano (sic! Santoro è il cognome giusto – ndr), il prete cattolico a cui fu sparato nella schiena l’anno scorso nella sua chiesa di Trazbon».

«È preoccupante – soggiunge Kobia – notare che questi omicidi sono in genere preceduti da minacce e violenza contro l’individuo, che è a rischio in quanto membro di una minoranza religiosa. Riportiamo qui episodi del genere registrati lo scorso anno: alcuni giovani hanno urlato insulti ai parrocchiani siro-ortodossi di Diyarbakir; dei manifestanti hanno interrotto la Messa greco-ortodossa in un’antica chiesa a Bergama; un leader protestante di Adana è stato percosso e minacciato di morte se non rinuncia alla sua fede; un attacco analogo da parte di un gruppo di persone è stato commesso ai danni di un religioso cattolico a Izmir».

Samuel Kobia riconosce che la condanna dei politici, a cominciare da quella del primo ministro Recep Tayyip Erdogan, è un elemento importante ed esprime gratitudine per l’impegno del governo a difendere la libertà religiosa stipulata dalla Costituzione turca.

E però, fa intendere la lettera, ci si attende anche una serie di comportamenti coerenti.

«Il dominio della legge – fa osservare il pastore – deve essere reso evidente da azioni a tutti i livelli di governo. La pratica della tolleranza deve essere un pubblico obbiettivo. Ci attendiamo di vedere il rispetto per la dignità umana – dal punto di vista sociale, politico e religioso – riflesso nel trattamento riservato alle Chiese e alle altre minoranze religiose. Gli atti che conducono alla violenza devono essere trattati dalle autorità come reati gravi».

Kobia rammenta all’ambasciatore Üzümcü che nei mesi scorsi la stampa ha riferito di complotti per uccidere il patriarca ecumenico Bartolomeo I e il patriarca armeno Mesrob II.

Ma a tutto ciò si aggiungono altre difficoltà, generate proprio dalle autorità civili: «Le comunità religiose che fronteggiano continue minacce alla loro sopravvivenza – scrive il segretario generale del Coe – devono anche fare i conti con problemi irrisolti per quanto riguarda le proprietà e le funzioni ecclesiastiche delle minoranze. Il Consiglio ecumenico delle Chiese ha periodicamente preso pubblica nota delle azioni e pretese di vecchia data contro le proprietà ecclesiastiche. Queste vertenze impediscono ai terreni e agli edifici delle Chiese di essere impiegati per scopi che includono l’istruzione religiosa, come pure le attività scolastiche per i bambini, l’accoglienza degli orfani, la cura e l’assistenza ai malati».

L’auspicio di Kobia è che si trovi soluzione a tutti questi motivi di preoccupazione, così da aprire «un capitolo nuovo nella singolare storia della Turchia».

«Le attuali linee di tendenza nel Medio Oriente – conclude il pastore protestante – mettono in rilevo il contributo che la nazione e società turca può dare alla pace in un mondo pluralistico. Su questo versante la ricchezza culturale e la varietà presenti in Turchia rappresentano un punto di forza».

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