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Medio Oriente, quando il calcio si schiera

Fulvio Scaglione
17 maggio 2024
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Il mondo del calcio non è avulso dalla politica e dalle più rilevanti istanze sociali e nazionali. Un paio di esempi dalle cronache recenti riguardano le Federazioni calcistiche di Palestina e Iran.


Il calcio non è mai solo calcio, in nessuna parte del mondo. Ormai lo abbiamo capito. E se qualcuno avesse avuto ancora dubbi, i mega-investimenti dei fondi sovrani di Arabia Saudita e Qatar per arruolare stelle (o presunte tali) europee e sudamericane, per organizzare grandi eventi (si vedano i Campionati mondiali del 2022 in Qatar e quelli in Arabia Saudita programmati per il 2034) o per acquistare società sportive nei campionati d’eccellenza (il Newcastle saudita e il Manchester City emiratino in Inghilterra, il Paris Saint Germain qatariota in Francia, il Girona emiratino in Spagna e così via di Paese in Paese) hanno spazzato via ogni incertezza.

Ci sono però fenomeni che non raggiungono la prima pagina dei giornali e che, però, investono in misura anche maggiore il sentimento popolare e la sensibilità dei gruppi sociali. Forse non tutti sanno che fin dal lontano 1962 esiste una Federazione calcistica della Palestina (Fcp), regolarmente affiliata alla Fifa (l’organismo che regola il calcio mondiale) e alla Federazione calcistica asiatica. Nei giorni scorsi, l’Fcp ha chiesto in modo ufficiale alla Fifa la «sospensione immediata» di Israele, con la conseguente esclusione della nazionale dello Stato ebraico da tutte le competizioni internazionali. Il presidente della Fifa, Gianni Infantino, ha detto che affiderà la richiesta a una consulenza legale e che la risposta arriverà entro il 20 luglio, data di un consiglio straordinario dell’organismo calcistico.

Nella Palestina ora in guerra ma da anni spaccata in due tra il potere di Hamas e quello di Al Fatah, si svolgono due campionati di calcio, uno per la Striscia di Gaza e l’altro per la Cisgiordania. Quello di Gaza, che ovviamente quest’anno non si è giocato, è dominato dalle squadre di Rafah, la città che ora attende con angoscia il possibile attacco israeliano. Nel campionato di Cisgiordania, invece, è la squadra di Hebron, lo Shabab al-Khalil, la più titolata.

Altre notizie interessanti sul calcio ci arrivano dall’Iran dove il consiglio di disciplina della Federazione calcistica nazionale ha deciso che le partite di andata e ritorno tra Sepahan e Persepolis (più o meno l’equivalente di Milan-Inter o Roma-Lazio in Italia) nella prossima stagione dovranno essere giocate alla presenza di un pubblico esclusivamente femminile. Il provvedimento è stato preso proprio perché il primo maggio, durante un incontro tra le due squadre, un gruppo di tifose è stato preso a male parole da alcuni tifosi maschi.

Non è qui il caso di affrontare l’enorme questione del ruolo della donna nella Repubblica islamica. Basterà ricordare che anche il calcio è stato uno dei banchi di prova del problema. Le donne sono state ammesse negli stadi, per la prima volta dopo quarant’anni, solo nel 2019, per essere di nuovo escluse nel 2022 e riammesse, sia pure con un numero di posti limitato, all’inizio del campionato 2023. Ora, sia pure per gli incontri tra due squadre specifiche, addirittura il rovesciamento della situazione.

Qualcosa si muove? Nel Paese magari no. Ma nel calcio sì. Nel marzo di quest’anno, per la prima volta, una donna è entrata nella squadra arbitrale di una partita di calcio maschile. È Mahsa Ghorbani, ha 34 anni ed è stata uno dei tre assistenti al Var per la partita tra Persepolis ed Esteghlal, un incontro di cartello. La Ghorbani aveva già arbitrato nella Coppa d’Asia femminile e nella Coppa del mondo femminile ma è stata la prima donna iraniana ad arbitrare una partita maschile. Chissà…

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