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Musica, versi (e cinema) per i «Cavalieri di un mistico Re»

Terrasanta.net
9 febbraio 2022
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Musica, versi (e cinema) per i «Cavalieri di un mistico Re»

La musica ha accompagnato la lunga storia della Custodia di Terra Santa, nelle liturgie come nell’insegnamento nelle scuole. In questo solco si inserisce l’Inno di Terra Santa composto all’inizio del Novecento e colonna sonora di alcuni film.


Con il lavoro di recupero e restauro del patrimonio filmico della Terra Santa si è riscoperto l’Inno di Terra Santa, composto all’inizio del Novecento e poi nuovamente arrangiato negli anni Cinquanta. Quest’ultima registrazione ricorre infatti nella colonna musicale dei film documentari Terra di Cristo e Crociati senz’armi (1954) diretti da Rinaldo Dal Fabbro, oltre che in altri cortometraggi dell’Opera Cinematografica della Custodia.

L’arrangiamento per orchestra, curato dal maestro Alberico Vitalini, allora direttore dei programmi musicali della Radio Vaticana, evoca sonorità da colossal hollywoodiano, con elementi «verdiani» che riflettono un gusto ancora diffuso nel cinema di metà del Novecento.

E oggi? Chiedersi che cosa trasmetta l’Inno ai pellegrini, a chi ama i Luoghi Santi, è forse una domanda oziosa. I tempi sono cambiati. Ma il valore storico del componimento poetico e musicale aiuta a comprenderne l’importanza che ha avuto nel XX secolo.

Il testo poetico dell’Inno fu composto in italiano nel 1907 dall’allora Custode fra Roberto Razzòli, mentre l’autore della musica fu il francescano Agostino Frapiccini, in quegli anni organista e maestro della schola cantorum della Custodia. La casa Ricordi di Milano curò un’edizione musicale dell’Inno a quattro voci miste con l’accompagnamento di pianoforte e harmonium. Due anni dopo un articolo della rivista culturale Ars et Labor  celebrava la «geniale fusione di due anime d’artisti, un poeta e un musicista» e trovava nell’Inno «l’ardenza del fervore che è solo propria del misticismo sinceramente e profondamente sentito». L’autore aggiungeva che «tecnicamente il pezzo è scritto con sagacia di processi vari e atteggiamenti armonici e contrappuntistici ricchi di nobili motivi melodici».

Un Custode poeta

Vale la pena ripercorrere la nascita di questa composizione, che riflette la sensibilità di un’epoca, ma che, dopo mezzo secolo e pur con gusti e criteri musicali cambiati, era considerata ancora una bella opera. La Custodia di Terra Santa che si estende «Da le valli del Nilo fiorite / Fino all’onde del Bosforo trace» voleva ritrovare nel componimento il suo spirito plurisecolare. «Voli l’inno d’amore e di pace / Cavalieri d’un mistico Re». E così si presentano nel film del 1954 i Crociati senz’armi, cavalieri di natura differente, perché «Di Quei che un dì sul Golgota / Spirò trafitto e ignudo / Che all’umil gente è scudo / De’ superbi sgomento, terror».

I francescani che lavorano della terra di Cristo sapevano di essere gli eredi di gloriose imprese militari («Eppur del pio Buglione / Siam trionfanti figli»), ma svolgevano (e svolgono tutt’oggi) la loro missione senza apparato guerresco: «Non di scudi, non d’elmi guerrieri / Folgoriamo, o gagliardi fratelli / Sol di spine cingiamo i capelli / Sol la Croce ci è letto regal».

L’autore di questi versi era nato nel 1863. Toscano della Lunigiana, fra Razzòli fu Custode di Terra Santa dal 1906 al 1913 e poi divenne vescovo di Potenza, dove morì nel 1925. Il suo interesse per la poesia (era stato membro dell’Accademia dell’Arcadia) nella Toscana che pochi anni prima di lui aveva dato i natali a Carducci e Pascoli, lo portò a fondare la rivista culturale Luce e amore che raccolse consensi anche al di fuori dell’ambiente ecclesiastico (forse perfino da parte dello stesso Carducci, al tempo figura di riferimento della poesia in Italia e ardente anticlericale, autore in gioventù nientemeno che di un inno poetico A Satana).

Dopo avere visitato la Terra Santa, percorrendola a dorso di un asino come era allora usanza in quelle regioni sottomesse all’Impero ottomano, il Custode Razzòli fu ispirato a scrivere il testo. Nel convento-collegio di Emmaus, al tempo particolarmente isolato nell’oasi che ancora lo circonda, ammirando la valle di Saaron e il mare, l’ispirazione lo avrebbe colto una sera e avrebbe trascorso la notte componendo.

Musica sacra nel segno del rinnovamento

L’impresa di mettere in musica quei versi fu affidata al marchigiano fra Augusto Frapiccini che, come maestro di cappella della Custodia, dirigeva una corale di oltre 50 elementi scelti, impegnata specialmente nelle esecuzioni della Settimana Santa. Frapiccini si era diplomato in musica sacra a Pesaro, allievo del maestro Antonio Cicognani, il quale portava in Italia l’esperienza della scuola di musica sacra di Ratisbona. Già dalla fine dell’Ottocento la città tedesca era un centro di rinnovamento della musica nelle liturgie, secondo le linee del movimento ceciliano che, anche in Francia e in Italia, propugnava il superamento dello stile operistico in voga al tempo.

La schola cantorum della Custodia a Gerusalemme in un’immagine degli anni Venti. (foto Archivio CTS)

Con composizioni più sobrie e un maggiore coinvolgimento dei fedeli attraverso il canto, il movimento ceciliano portò alla nascita di innumerevoli scholae cantorum. Papa Pio X nel 1903 emanò un motu proprio che appoggiava in pieno la riforma. Fu in quel clima di rilancio della musica liturgica, da sottrarre alle influenze del melodramma e della musica popolare, che si inserì anche la nascita dell’Inno di Terra Santa.

Ma i versi di Razzòli non erano stati semplici da mettere in musica: il maestro Agostino Lama (1902-1988), musicista palestinese che dedicò tutta la vita alla Custodia come organista e direttore della schola al convento di San Salvatore, interpellato nel 1960 osservava che «la poesia presenta voli tanto rapidi e sconcertanti che rendono difficile un’interpretazione musicale omogenea». E lo si comprende dal susseguirsi di decasillabi, novenari, ottonari, settenari e senari alternati, in strofe che seguono lo schema di rime «abbc». Difetti individuati negli anni Cinquanta, quando fu realizzato l’adattamento per l’orchestra destinato al cinema, e corretti con la nuova strumentazione. Le correzioni armoniche migliorarono alcuni passaggi, e furono resi più vibranti e potenti il preludio e il finale.

Senza volere falsarne il carattere, fu dato più senso epico a tutto l’Inno. D’altro canto, nei secoli tanti francescani avevano dato la vita («Quanto sangue di martiri effuso / sul Giordano sul rapido Oronte / lungo i marghi del verde Leonte / sull’Eufrate, sul tacito Nil»), sicuri di realizzare un piano divino di redenzione che aveva fallito con le armi. Presero come insegna di «battaglia» il vessillo della Croce: «O serafica bianca bandiera / costellata di croci fiammanti / tra le palme d’Engaddi ondulanti / venta, venta, ti regge l’amor». (f.p.)

Per ascoltare l’ Inno di Terra Santa nell’arrangiamento per orchestra di Alberico Vitalini (primi anni Cinquanta), clicca qui.

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