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Occhio alla Siria! L’Isis contrattacca

Fulvio Scaglione
18 gennaio 2021
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I terroristi dello Stato islamico stanno cercando la rivincita in quelli che un tempo erano i loro caposaldi, soprattutto nel nord della Siria. Attacchi e attentati vanno crescendo. E la pace non arriva.


Attacchi condotti nel 2020? 593. Uccisi in queste azioni 901 uomini delle Forze Democratiche Siriane (Sdf, le milizie di curdi, arabi e siri riunitesi nel 2015 sotto l’egida degli Usa), 407 soldati dell’esercito siriano e 19 miliziani di altri gruppi (verosimilmente, i jihadisti filo-Turchia). La geografia di questi attacchi? Per la maggior parte intorno a Deir-ez-Zor (389), poi Raqqa (59), Hasakah (39), Homs (38), Aleppo (36) e Dar’a (29). Questi, almeno, sono i dati diffusi da Amaq, l’agenzia di notizie comparsa per la prima volta nel 2014, ai tempi dell’assedio di Kobane, e che fa da portavoce ufficioso del gruppo Stato islamico (Isis).

È certo possibile che i numeri siano un po’ gonfiati a scopo di propaganda. Forse l’Isis non ha lanciato tutti quegli attacchi e non ha ucciso tutte quelle persone. Ma un fatto è certo: i terroristi dello Stato islamico stanno cercando la rivincita in quelli che un tempo erano i loro caposaldi. Ultima propaganda a parte, certi segnali erano inequivocabili. L’aumento degli attentati, soprattutto di certi attentati che rivelano la mano dell’Isis come le auto-bomba e i kamikaze. Non a caso il 2020 si è concluso, il 31 dicembre, con un attacco a un autobus che viaggiava tra Palmira e Deir ez-Zor, che ha fatto 25 morti. Vi sono poi omicidi mirati, soprattutto ai danni della stampa indipendente e degli attivisti dei movimenti filo-curdi, e l’inesorabile crescita di atti di violenza compiuti in pieno giorno da uomini mascherati svelti poi a sparire confusi nella folla. Il tutto approfittando del caos che regna nel Nord della Siria, nelle cosiddette «zone liberate», dove le milizie di ogni genere sono incapaci di garantire alla popolazione anche un minimo di sicurezza. E dove i fedeli del presidente Bashar al Assad, il cui obiettivo è recuperare il pieno controllo di ogni parte della Siria, sono impegnati in una guerra di logoramento e piuttosto inclini, quando possibile, ad aumentare il caos altrui.

Come si vede, però, i tentacoli dell’Isis tendono ad allungarsi verso le aree urbane decisive per la sopravvivenza della Siria, sia come entità economica sia come entità politica. Aleppo, Homs e la mai abbastanza considerata zona di Daraa, la città dove esplose la rivolta del 2011, al centro di una regione agricola fondamentale e prossima al confine con Giordania, Libano e Israele. Questa è anche l’area in cui sono più numerose le milizie iraniane e quelle filo-iraniane del Libano, che attirano i raid di Israele e sono sempre meno tollerate da una popolazione locale che le ha sempre considerate una presenza straniera e ostile.

Occhio quindi alla Siria! L’ennesimo Paese dove la guerra sembra finita, ma la pace non è mai arrivata.


 

Perché Babylon

Babilonia è stata allo stesso tempo una delle più grandi capitali dell’antichità e, con le mura che ispirarono il racconto biblico della Torre di Babele, anche il simbolo del caos e del declino. Una straordinaria metafora del Medio Oriente di ieri e di oggi, in perenne oscillazione tra grandezza e caos, tra civiltà e barbarie, tra sviluppo e declino. Proveremo, qui, a raccontare questa complessità e a trovare, nel mare degli eventi, qualche traccia di ordine e continuità.

Fulvio Scaglione, nato nel 1957, giornalista professionista dal 1981, è stato dal 2000 al 2016 vice direttore di Famiglia Cristiana. Già corrispondente da Mosca, si è occupato in particolare della Russia post-sovietica e del Medio Oriente. Ha scritto i seguenti libri: Bye Bye Baghdad (Fratelli Frilli Editori, 2003), La Russia è tornata (Boroli Editore, 2005), I cristiani e il Medio Oriente (Edizioni San Paolo, 2008), Il patto con il diavolo (Rizzoli, 2016). Prova a raccontare la politica estera anche in un blog personale: www.fulvioscaglione.com

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