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Scuola per la pace, al timone c’è Roi

Giulia Ceccutti
17 dicembre 2020
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Scuola per la pace, al timone c’è Roi
Roi Silberberg in un fermo immagine tratto da un'intervista video. (Neve Shalom Wahat al-Salam)

Da pochi mesi, in Israele la Scuola per la pace del villaggio di Neve Shalom Wahat al-Salam ha un nuovo direttore. Ha quarant'anni e si chiama Roi Silberberg. Andiamo a conoscerlo.


«A ventitré anni partecipai, presso l’Università di Tel Aviv, a un corso della Scuola per la pace dal titolo Dialogo tra le identità. Iniziai a sentirmi consapevole, a provare un senso di colpa. A percepire una complessità nel conflitto, che tuttora non comprendo del tutto. Mi sono detto: “Ora che sono informato, ho molta più responsabilità. Un giorno avrò dei bambini e mi chiederanno: “Tu, che eri consapevole, cosa hai fatto?”».

Parole che pesano, quelle di Roi Silberberg, da pochi mesi direttore della Scuola per la pace di Neve Shalom Wahat al Salam (l’«Oasi di pace», su una collina a mezz’ora da Gerusalemme e da Tel Aviv, in cui convivono per scelta famiglie ebree e arabe, tutte di cittadinanza israeliana).

Fondata nel 1979 come «cuore» del Villaggio e diretta fino a settembre scorso da una dei suoi fondatori, Nava Sonnenschein, la Scuola per la pace è la prima istituzione educativa sorta in Israele per promuovere, attraverso corsi e seminari, momenti di incontro e confronto tra ebrei e palestinesi sulla gestione del conflitto. È stata recentemente oggetto di due attacchi incendiari, su cui sono ancora in corso le indagini (il primo ne ha interamente distrutto l’edificio principale).

Alla guida della Scuola

Ora Roi – quarant’anni appena compiuti, un master in diritti umani e un dottorato in filosofia dell’educazione – ha una bimba di un anno, e con la sua famiglia ha deciso di trasferirsi a vivere al Villaggio. Da anni collabora con la Scuola per la pace, ad esempio come facilitatore di gruppi in conflitto. È inoltre impegnato in varie altre organizzazioni: ha fondato l’Ong Amal – spoken Arabic for all, che insegna l’arabo ai bambini delle scuole elementari di Tel Aviv e Jaffa, è membro del consiglio direttivo di Zochrot e collaboratore di This is not an Ulpan (un’iniziativa per lo studio dell’arabo e dell’ebraico che non sfugge le questioni scomode da trattare).

Quando parla del suo nuovo ruolo di direttore della Scuola per la pace nel tono di voce traspare un sincero entusiasmo. Gli abbiamo chiesto di raccontarci il percorso che l’ha portato dove è ora.

«La mia storia è molto comune in Israele», sorride. «Sono cresciuto in una famiglia laica nell’area di Tel Aviv, che politicamente è abbastanza di sinistra. Nonostante questo, era chiaro fin da piccolo che avrei prestato servizio militare, perché “è nostro dovere”, o perché “non c’è nessun altro che lo faccia”. Da bambino, i miei nonni mi portavano nella piazza principale di Tel Aviv (oggi piazza Rabin), dedicata all’Indipendenza, per farmi vedere una mostra dell’esercito che comprendeva molte armi e carri armati».

A diciotto anni il servizio militare obbligatorio, svolto principalmente nel sud del Libano. «Durante quel periodo non ho mai avuto contatti personali con gli arabi», rammenta Roi. «A ventitré anni, invece, quando ero già studente universitario, fui arruolato come riserva nei Territori occupati. In quelle tre settimane di servizio sono stato testimone della realtà dell’occupazione, così sono diventato un refusnik: ho detto all’esercito che non avrei più preso parte a quella oppressione».

Determinati a resistere

Domandiamo a Roi qual è il clima che si respira ora al Villaggio e alla Scuola per la pace, in seguito alle minacce – e ai danni – portati dai due incendi. «È stato un duro colpo per le nostre strutture educative e per la nostra sicurezza. Siamo riusciti ugualmente a continuare a lavorare (tramite corsi online e presso altre strutture – ndr), dimostrando una grande determinazione e resistenza. Inoltre, il sostegno morale che abbiamo ricevuto ha dato coraggio alla Scuola e a tutta la comunità».

Rispetto alle indagini in corso, svolte dalla polizia israeliana, Roi risponde che non hanno finora portato ad alcun risultato, se non alla certezza che si è trattato di episodi dolosi. E aggiunge con schiettezza: «Sono preoccupato per il senso di abbandono e assenza di legge che constatiamo nei nostri confronti, e in generale verso la sinistra in Israele. Gli unici strumenti che abbiamo ora a nostra disposizione sono il sostegno da parte dell’opinione pubblica e un supporto (pubblico e diplomatico), che arrivi dall’esterno, da fuori Israele».

Un occhio al domani

Il futuro è carico di progetti e sfide su fronti diversi: ricostruire – grazie alle donazioni che stanno arrivando in gran parte dalle Associazioni di Amici all’estero – l’edificio andato distrutto, allargare il pubblico dei corsi aprendosi a nuove categorie professionali, rendere ancora più forte e attiva la rete degli ex diplomati, anche dotandosi di competenze specifiche in questo senso.

Vitale il rafforzamento del legame con la comunità del Villaggio, punto che Roi pone in cima agli obiettivi strategici che sta definendo in questi giorni insieme al suo staff. «La prima generazione è quella che ha dato vita alla Scuola per la pace: ora vogliamo connetterci con la seconda e la terza generazione, e con i nuovi membri del Villaggio. Stiamo lavorando con il Nadi, il club dei ragazzi, e avviando un gruppo di dialogo ebraico-palestinese per le giovani famiglie».

Un altro grande obiettivo, prosegue Roi, «è quello di contribuire al lavoro di altre organizzazioni non governative che operano nel campo della pace. Stiamo offrendo consulenze a varie ong e proponendo momenti di facilitazione per staff misti con personale sia ebreo sia palestinese. Abbiamo capito che questo è un buon modo per dare il nostro contributo nel campo del dialogo e della ricerca della pace».

Riguardo al suo nuovo incarico, Roi conclude con queste parole: «La Scuola per la pace è un’istituzione importante, con un ruolo e una voce ben precisi all’interno del movimento per la pace qui in Israele. Sento che mi è stato affidato un grande dono, e che devo a questa istituzione e alla comunità di Neve Shalom Wahat al Salam i miei maggiori sforzi per far risuonare alta questa voce».

Chi volesse, può sostenere la Scuola per la pace attraverso l’Associazione italiana amici di Neve Shalom Wahat al Salam.

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