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Tel Aviv, microcosmo di voci straordinarie

Alessandra Abbona
23 luglio 2020
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Tel Aviv, microcosmo di voci straordinarie
Ester Rada in concerto in un club di Tel Aviv (foto YouTube)

La scena musicale indipendente israeliana è un parterre ad alta densità di talenti – in gran parte femminili – concentrato nei pochi chilometri quadrati della capitale economica, high-tech e dell’intrattenimento che è Tel Aviv. Un ritratto di quattro artiste.


Ebrei provenienti dalle culture più disparate hanno costituito, in tre quarti di secolo, il cosiddetto mizug galuyot (letteralmente «fusione degli esiliati»), un’incredibile rappresentanza demografica palpitante, ricca di conflittualità e al tempo stesso di patrimoni tradizionali variegati. Inoltre, in Israele, l’educazione musicale diffusa – sia formale, proveniente dall’accademia, che informale, frutto di tradizioni familiari – è il fattore che permette il prosperare di un vivaio di straordinari giovani cantautori.

Il circuito musicale telaviviano è paragonabile a un microcosmo, dove gli artisti si conoscono, collaborano tra loro e non di rado sono parte contemporaneamente di più band. Numerose sono le giovani artiste donne, diverse per stile e per origine: individuare le migliori non è semplice.

Ester Rada, 35 anni, proviene da una famiglia di Beta Israel, gli ebrei etiopi che tramite l’Operazione Mosè, condotta dai servizi segreti israeliani nel 1984, furono trasferiti con un ponte aereo nella terra di Israele. Cresciuta in un contesto tradizionale e religioso, Ester inizia la carriera artistica con la recitazione in teatro, quindi scopre la propria passione musicale durante il servizio militare nelle forze armate israeliane, dove si esibisce eseguendo canzoni pop.

Il riconoscimento del suo indiscutibile talento arriva nel 2013 con l’Ep Life happens. Rada canta prevalentemente in inglese e in amarico, con una voce raffinata e profonda da lady di altri tempi. Bellissima e magnetica, è una straordinaria performer dal vivo. I riferimenti e i richiami del suo stile sono molteplici: dall’ethio-jazz al funk, dal soul al rhythm and blues. È uscito nel maggio 2020 il suo nuovo album Chesed, che significa gioia, per la prima volta tutto scritto e cantato in ebraico. Si tratta di un lavoro più intimista, fatto di ballate e di suoni più rarefatti, che riflette la maturità raggiunta e la somma delle sue tante esperienze anche internazionali.

Ebrea di origine tunisina, Riff Cohen è un’artista fuori dagli schemi. Classe 1984, cresciuta in una famiglia francofona e arabofona (padre di Jerba, madre algerina), si divide tra Francia e Israele e canta in francese ed ebraico. La sua musica è una miscela di sonorità maghrebine, con richiami alle percussioni gnawa. Minuta, con una cascata di ricci, grandi occhi scuri, Cohen non ha numerosi album in archivio perché è principalmente un «animale» da palcoscenico. Polistrumentista e poliglotta, ha esordito nel 2012 con il singolo À Paris, quasi una filastrocca ritmata dedicata alla capitale francese, che vanta circa 7 milioni di visualizzazioni su YouTube. La Cohen collabora spesso con artisti israeliani di origine mizrahi, come Ravid Kalahani, in arte Yemen Blues, e le A-Wa, di provenienza yemenita. La sua cifra stilistica è un viaggio continuo tra Francia e Oriente, sonorità arabo-andaluse e ritmi del cuore nero del Nord Africa, con un richiamo alle litanie sacre da sinagoga, i cosiddetti piyutim.

Si vira decisamente sul pop anglosassone, con una verve di grande ricercatezza però, con Yael Shoshana Cohen, anima del duo Lola Marsh, formatisi nel 2013 (alla chitarra, tastiere e composizione, il polistrumentista Gil Landau). Definita, per la sua avvenenza e il suo particolare timbro di voce, un mix tra Penelope Cruz e Lana Del Rey, la cantante utilizza esclusivamente l’inglese nei suoi testi.
I Lola Marsh vantano un enorme successo in patria e all’estero, in particolare si esibiscono (parliamo dell’era pre-Covid) in grandi festival europei e nei circuiti di club e teatri degli Stati Uniti. La voce calda e inconfondibile di Yael Shoshana, sommata ai ritornelli che si fanno fischiettare e cantare già al primo ascolto e all’originalità dei loro video, ha fatto sì che un motivo come Wishing girl fosse usato come jingle pubblicitario per una nota casa di profumi francese. Gil e Yael Shoshana hanno all’attivo tre lavori: l’Ep You’re Mine (2016), e gli album Remember Roses (2017) e Someday Tomorrow Maybe (2020). Imperdibile è il loro ultimo singolo Only for a moment.

Un filo lega i Lola Marsh ai Jane Bordeaux, altra giovane coppia di talento del nuovo sound israeliano. Il contrabbassista e chitarrista Mati Gilad, infatti, fa la spola tra le due band. Ma qui interessa parlare della voce femminile, ossia Doron Talmon. I JB – nati nel 2012 – cantano in ebraico e hanno iniziato la loro carriera con un gradevole country-folk dalle sonorità americane. Recentemente, però, il loro suono si è fatto più raffinato e pop, con una strizzatina d’occhio alle hit (il tormentone estivo 2020 sulle radio israeliane, Tel Aviv Ze Ani V’at, del duo maschile Amir e Ben, vede infatti anche la partecipazione di Doron). La voce della Talmon, vellutata e duttile, è il tratto distintivo della band. Con all’attivo tre album – l’omonimo Jane Bordeaux del 2014, Ma She’Hashoov (Quello che importa) del 2017 e Ocyanosim (Oceani) del 2019 – la loro è stata la band più trasmessa nel 2015 da Galgalatz, la stazione radio dell’esercito e la più ascoltata a livello nazionale. Coppia anche nella vita sentimentale, Mati e Doron riflettono la loro intesa nelle loro canzoni. Difficile non lasciarsi affascinare da chicche come Whisky ed Einav, dove la vocalità di Doron Talmon è come una carezza delicata e confortante.

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