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Bizzeti: la Chiesa e la scelta (scomoda) della pace

Francesco Pistocchini
20 febbraio 2020
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Bizzeti: la Chiesa e la scelta (scomoda) della pace
Monsignor Paolo Bizzeti, vicario apostolico dell'Anatolia (Foto EPP)

All’incontro di Bari sul Mediterraneo (19-23 febbraio), il vescovo dell’Anatolia, monsignor Paolo Bizzeti, porta l’esperienza dei cattolici in Turchia a contatto stretto con i temi del dialogo interreligioso e delle migrazioni.


Gesuita, biblista, monsignor Paolo Bizzeti ha studiato a lungo il Medio Oriente cristiano e ne ha percorso le strade prima di essere nominato nel 2015 da papa Francesco vicario apostolico dell’Anatolia e di avere affidata la cura dei cattolici che vivono in tutta la Turchia centro-orientale. Le poche, piccole comunità, sparse su un grande territorio, erano senza pastore dalla tragica morte di monsignor Luigi Padovese, ucciso nel 2010 dal suo autista.
Come rappresentante della Chiesa cattolica turca, monsignor Bizzeti è tra i partecipanti dell’incontro «Mediterraneo, frontiera di pace» in corso a Bari e che si chiuderà domenica 23 febbraio con la partecipazione di papa Francesco. La città turca in cui risiede, Iskenderun (o Alessandretta, secondo il nome greco) è a pochi chilometri dalle zone della Siria che dopo quasi nove anni sono ancora devastate dalla guerra. Ma non solo la Siria vive oggi, nella regione di Idlib, una tragedia umanitaria: si combatte anche in Libia, esistono tra sponda nord e sud, tra est e ovest lacerazioni che vanno aggravandosi.

Monsignore, perché è urgente per la Chiesa un’opera di ricucitura?
Il Mediterraneo, nelle varie epoche, è stato luogo di pace o di guerra. La Chiesa cattolica di oggi ha fatto una scelta precisa per la pace e il rispetto reciproco tra le differenti popolazioni, culture, religioni, proprio per essere fedele alla sua identità: è opera del Cristo infatti abbattere i muri, come ci ricorda il Nuovo Testamento (Efesini 2,13-18)

La fine della guerra in Siria e la soluzione «reale» del conflitto israelo-palestinese non sono forse condizioni fondamentali per potere parlare di pace nel Mediterraneo.
Il conflitto israeliano palestinese è alla base di molte situazioni conflittuali. Va risolto, ma senza favorire una parte in modo sfacciato come fa la proposta del presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

Lampedusa, Lesbo, Il Cairo, Abu Dhabi: sono alcuni momenti significativi in cui papa Francesco ha indicato una direzione, un cambio radicale di prospettiva, rispetto a due temi fondamentali come le migrazioni e il dialogo con l’islam. Lei, come vescovo in Anatolia, vive da vicino entrambe le problematiche.
La situazione dei profughi e, in particolare, quella dei cristiani, è drammatica. Il governo turco è stato molto generoso nell’accoglienza, ma bisogna risolvere il problema alla radice. Circa il rapporto con il mondo musulmano, la scelta di papa Francesco – in alcuni ambienti cattolici considerata ingenua e buonista – è intelligente perché fa delle distinzioni, evitando pericolose concentrazioni intorno alle figure politicamente e religiosamente più fondamentaliste, con grave danno per tutti. 

Quando il Mediterraneo si trasforma in un cimitero, la Chiesa non può tacere. Oltre a parlare alla coscienza di ognuno, può ancora incidere sulle scelte politiche? In che modo?
La Chiesa deve parlare in modo più forte ed esplicito, a nome del suo Signore che è stato molto chiaro quando c’è in gioco la vita e la morte delle persone. E deve farlo pubblicamente, a costo di essere politicamente scorretta. Del resto, Gesù Cristo è stato ucciso da persone che si dicevano religiose e da squallidi politici, non è vero?

La lettura più facile (o superficiale) delle grandi divisioni nel Mediterraneo è quella dello scontro secolare fra cristianesimo e islam, oppure di opposizioni tra gruppi religiosi: ebrei contro musulmani; cattolici contro ortodossi; sunniti contro sciiti; ecc. Eppure, oggi si suole dire che il dialogo interreligioso è motore della pace. È realistico? Che significato ha nel Mediterraneo?
Lo scontro è quasi sempre avvenuto perché dietro c’erano problemi di potere o di denaro. La gente semplice, infatti, ha quasi sempre trovato il modo di vivere insieme. Tuttavia, è vero che riguardo all’uso della violenza ci sono state e ci sono posizioni differenti tra le varie religioni e anche al loro interno. Confrontarsi tra persone che credono in un Dio amico degli uomini è prezioso per arrivare a decisioni condivise.

Quali segni ha lasciato la Dichiarazione sulla fratellanza umana di un anno fa ad Abu Dhabi, dove tra l’altro si afferma: «Il concetto di cittadinanza si basa sull’eguaglianza dei diritti e dei doveri sotto la cui ombra tutti godono della giustizia. Per questo è necessario impegnarsi per stabilire nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine minoranze, che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità; esso prepara il terreno alle ostilità e alla discordia e sottrae le conquiste e i diritti religiosi e civili di alcuni cittadini discriminandoli».
Il termine minoranze è odioso e discriminatorio, anche perché ci sono maggioranze che nei secoli sono divenute minoranze e viceversa! Lo usiamo tanto per intenderci, ma è sbagliato. Il vero punto è affermare l’uguaglianza di diritti e doveri per tutti: non è un percorso facile, nemmeno tra i cattolici. In Turchia si sono fatti passi in avanti, ma ancora insufficienti. Come Chiesa cattolica latina non possiamo costruire una cappella, aprire un centro culturale, una casa per accogliere i nostri rifugiati cristiani, e così via. Non abbiamo nemmeno personalità giuridica. Questo è ingiusto. La Turchia cristiana tuttavia è un mosaico di Chiese che stanno imparando a procedere insieme nella diversità: penso che siamo all’avanguardia nell’offrire un esempio del Mediterraneo in pace.

Perché qualcuno ha paragonato questo incontro di Bari a un sinodo del Mediterraneo?
Non è proprio un sinodo del Mediterraneo, ma si muove in quella direzione: affrontare insieme delle problematiche, anche per fare delle proposte al Papa, in accordo con la linea sinodale che si rivela molto feconda nel tempo. È quanto faceva la Chiesa antica.

La visione di La Pira, che fu sindaco della sua città, Firenze, e che già prima del Concilio aveva ispirato i «Colloqui mediterranei» con spirito ecumenico, offre un contributo ancora oggi?
La Pira offre sempre spunti preziosi perché era un profeta nello Spirito biblico.

Lei ha studiato e amato le terre dell’Oriente cristiano a lungo, prima del suo attuale ministero. Che cosa continua a coltivare di quegli anni?
Sto preparando una guida alle chiese e monasteri di tradizione siriaca, in Turchia.

In conclusione, quali frutti spera possa portare l’incontro di Bari? Si aspetta che emergano linee guida di azione comune? Quali sono secondo lei le priorità?
Spero che si metta in moto un processo che continui nel tempo. È auspicabile anche che il convegno non si limiti a dichiarazioni, ma promuova un segno concreto, come per esempio l’apertura di un liceo aperto a tutti i giovani del Mediterraneo che studino, oltre la loro, almeno un’altra lingua e un’altra religione e vogliano diventare leader politici di una pace attiva.


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