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Esiste una fotografia «araba»?

Alessandra Abbona
23 gennaio 2020
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Esiste una fotografia «araba»?
Ramallah 1907: i membri della famiglia Bdainy (Foto Palestinian Museum Digital Archive)

Dopo essere stato osservato a lungo da occhi occidentali (e colonialisti), oggi il mondo arabo mediorientale esprime proprie visioni di sé. Con esiti artistici importanti.


Esiste una fotografia «araba»? Una domanda simile rappresenta probabilmente un punto vista generalizzante. Sarebbe come chiedersi se esista una fotografia mediterranea o asiatica. E inoltre: vogliamo parlare di fotografia del mondo arabo (per quanto questo possa essere frastagliato, vario, difforme) o di fotografia dal mondo arabo?

La rappresentazione eurocentrica del Maghreb e del Medio Oriente era ben netta già nella pittura del XIX secolo: un mondo dalla forte componente esotica, sensuale e selvaggia, ma soprattutto rigorosamente immaginato, romanzato e trasposto su tela da artisti europei, basti pensare agli Orientalisti come Jean-Auguste-Dominique Ingres o Eugène Delacroix.

Poi è arrivata la fotografia: ma per gran parte del XX secolo l’hanno fatta da padrone immagini di stampo coloniale, sempre e ancora una visione esterna e purtroppo egemonica. Si è passati poi, a partire dalla seconda metà del secolo, all’epoca del fotogiornalismo e del reportage, dove la rappresentazione del Medio Oriente e dei suoi conflitti, in particolare, si è inserita in un cliché ancora oggi duro da superare, poiché a illustrare il mondo arabo sono stati prevalentemente osservatori occidentali.

Parallelamente, però, il retaggio coloniale ha favorito la nascita della fotografia di ritratto e poi quella familiare e privata. Ecco che finalmente si può parlare di autorappresentazione. Oggi però, come viene narrato fotograficamente il mondo arabo, nella fattispecie quello mediorientale?

Due grandi collezioni

Un ruolo importante è rivestito da entità museali e fondazioni che sono dedicate al patrimonio iconografico della regione. In Libano e Palestina vi sono, ad esempio, due giovani realtà che si propongono di catalogare, archiviare e mettere a disposizione del pubblico documenti fotografici e video.

A Beirut ha sede l’Arab Image Foundation (Aif), associazione indipendente che conserva una collezione di oltre 500 mila immagini e documentazioni fotografiche relative al Medio Oriente, al Nord Africa e alla diaspora araba (in special modo quella siro-libanese) nel mondo, creata nel corso degli ultimi vent’anni grazie al lavoro di esperti e appassionati e a donazioni di archivi familiari, professionali, storici. Ad oggi, circa 28 mila immagini sono state digitalizzate e 10 mila di queste sono a disposizione su licenza Creative Commons. Opera di professionisti, dilettanti e fotografi anonimi, i documenti dell’Aif riflettono una vasta gamma di generi e stili – tra cui documentari, reportage, fotografia industriale, fotografia di moda, architettura, pubblicità, album di famiglia, belle arti, paesaggi, ritratti in studio, still life e persino nudi – provenienti da Libano, Siria, Palestina, Giordania, Egitto, Marocco, Iraq, Iran, Messico, Argentina e Senegal.

Vicino a Ramallah, sorge il nuovo The Palestinian Museum, in un edificio dal design avveniristico progettato dallo studio irlandese di architettura Heneghan Peng, e dedicato al patrimonio culturale e storico della Palestina. Una sezione specifica, il Palestinian Museum Digital Archive, custodisce oltre 90 mila documenti, in larga parte fotografie e riproduzioni che vanno dagli inizi del XIX secolo fino a oggi, tutti accessibili online: al suo interno il Family Album Project esplora i ricordi fotografici familiari che molti palestinesi hanno salvaguardato nelle loro case e che costituiscono un importante lascito per la memoria delle generazioni future.

Se la storia passata e recente, raccontata attraverso la fotografia, trova spazio e dà voce ai protagonisti della regione in un contesto museale-documentario, le giovani generazioni di fotografi e di artisti del visuale, sono spesso intercettate a livello internazionale nei grandi eventi espositivi in Europa e in Occidente.

I Rencontres de la photographie di Arles, che hanno compiuto 50 anni, sono il più importante festival mondiale di fotografia: qui, ogni estate, escono le anticipazioni dei nuovi talenti, le tendenze del settore, così come le retrospettive dei giganti dell’immagine.

Da sempre questo appuntamento riserva un occhio di riguardo per «altri» mondi e diverse narrazioni: e la galassia araba e mediorientale, vuoi anche per il legame culturale e linguistico che ancora esiste con la Francia, ad Arles gode di un posto al sole.

Nel 2019 i Rencontres hanno ospitato l’artista libanese Randa Mirza, fotografa e video-maker attiva tra Beirut e Marsiglia. La sua esposizione, intitolata El-Zohra n’est pas née en un jour, consisteva in una serie di diorami, ognuno dei quali raccontava un mito preislamico dimenticato e oscurato: opere oniriche, pensate per mettere in discussione le forme di rappresentazione e visualizzazione cancellate dall’aniconismo (il divieto di raffigurare il volto umano e divino).

Le tensioni di una cultura tra contemporaneità e tradizione sono uno straordinario strumento di ispirazione: che oggi, sempre più numerosi, i giovani artisti del Medio Oriente traducono in linguaggio fotografico.

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