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E Liron ideò l’alfabeto «arabraico»

Federica Sasso
3 agosto 2017
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Una professionista israeliana nel campo della grafica, Liron Lavi Turkenich, ha creato il font Aravrit: un sistema di segni che fonde caratteri arabi ed ebraici. Il progetto è utopico, ma pare che funzioni.


Un progetto ibrido e forse anche un po’ utopico. La graphic designer israeliana Liron Lavi Turkenich parla così del suo Aravrit, che tradotto dall’ebraico suona letteralmente come «Arabraico». Non si tratta di un nuovo linguaggio, ma di un sistema di lettere che Lavi Turkenich ha creato “cucendo insieme” caratteri arabi ed ebraici. La legge israeliana prevede che ogni insegna ufficiale – cartelli stradali o indicazioni all’interno degli edifici pubblici – sia scritta in ebraico, arabo e inglese. Non è sempre così, ma in una città mista come Haifa, dove circa il 10 per cento della popolazione è costituito da palestinesi con cittadinanza israeliana, è normale vedere ebraico ed arabo fianco a fianco sui menù dei ristoranti o sulle targhe degli uffici. «Io sono di Haifa, ma non parlo l’arabo – racconta Lavi Turkenich – e un giorno mentre attraversavo il mercato mi sono resa conto che ho sempre guardato le scritte in arabo come se fossero decorazioni, non lettere con un loro significato. D’un tratto mi sono infastidita con me stessa. Com’è possibile, ho pensato, che per trent’anni io abbia guardato insegne o cartelli stradali senza tenere conto che l’arabo ci dice qualcosa?»

In quel periodo Liron Lavi Turkenich era alla ricerca di un’idea per la sua tesi finale allo Shenkar College, l’istituto di Tel Aviv dedicato all’arte e al design. «Ho deciso di usare la tesi per colmare la mia lacuna e mettere arabo ed ebraico sullo stesso piano. La mia domanda di partenza era: se unisco due cose diverse, due oggetti o due alfabeti, posso creare qualcosa di interessante o finisco solo per rovinarli entrambi?».

Facendo ricerca Lavi Turkenich si è imbattuta nel lavoro realizzato dell’oftalmologo francese Louis Emile Javal nel Diciannovesimo secolo. Studiando il campo visivo umano Javal scoprì che per leggere le parole scritte in caratteri latini, al nostro occhio basta la parte superiore delle parole. «Così ho iniziato a sperimentare con l’ebraico e con l’arabo per vedere se la regola vale anche per queste due lingue», racconta Lavi Turkenich. Provando a coprire metà delle parole, l’esperta di grafica si è resa conto che «per leggere l’ebraico abbiamo bisogno della parte bassa delle lettere, perché è lì che troviamo il numero maggiore di caratteristiche che le identificano. In arabo, invece, le informazioni importanti sono nella parte alta. La parte bassa di molti caratteri ha una forma arrotondata, sembra quasi una serie di onde, e non si riesce a leggere focalizzandosi solo su quella».

Basso + alto: una combinazione perfetta. Liron ha cominciato a sperimentare combinando ognuna delle 22 lettere dell’alfabeto ebraico con le 28 lettere di quello arabo. Il risultato sono 638 caratteri completamente nuovi. «Ogni nuovo segno è una lettera coerente, che non assomiglia a nessuna di quelle che conosciamo. Ma se sai l’arabo puoi guardare la parte alta e se parli ebraico puoi guardare la parte bassa: in entrambi i casi puoi leggere!»

Liron Lavi Turkenich si appoggia ad una amica libanese per verificare la correttezza e la leggibilità della parte araba del suo alfabeto. Ma non solo. «Quando ho iniziato a lavorarci facevo la spola tra Haifa e Tel Aviv, ogni volta che ero in treno e sentivo parlare arabo mi avvicinavo con le mie tavole e chiedevo ai passeggeri se avevano voglia di guardarle e dirmi cosa ne pensavano». La prova più evidente che l’arabraico è leggibile però è arrivata a maggio, quando in occasione dell’inizio del Ramadan Lavi Turkenich è stata invitata dalla presidenza dello Stato di Israele a scrivere un omaggio per la comunità musulmana. Con lei c’erano due bambini di Gerusalemme, Uriel che parla ebraico e Marian che parla arabo. «Non avevano mai visto quelle lettere e ho domandato loro se riuscivano a leggere la frase che avevo preparato. L’hanno letta immediatamente, senza sforzo… e ovviamente io ho iniziato a piangere… per me questa è la parte più emozionante del progetto».

Anche migliaia di israeliani devono esser stati toccati dalla sua creazione, perché il video in cui racconta il progetto (qui sotto la versione con sottotitoli in inglese) è stato visto oltre un milione di volte e ha ottenuto decine di migliaia di condivisioni sui social network.

L’Aravrit non è un font utilizzabile, almeno non per ora. Ogni parola richiede un lungo lavoro e non è sempre facile combinare i caratteri. «La “Ra” per esempio, in arabo va verso il basso, così ogni volta devo inventare un modo per far posto a ciascun carattere. Ed è una cosa che mi piace anche concettualmente, non solo visivamente». Il primo vocabolo che la nostra designer ha scritto in Aravrit è stato «linguaggio», e ci sono termini come «pace» o «coesistenza» che Lavi Turkenich non vuole disegnare. «Credo che non abbia senso raddoppiare il messaggio, preferisco concentrarmi su parole quotidiane, utili nella nostra vita di tutti i giorni». Turkenich è molto attenta a non lasciare politicizzare il suo alfabeto, e decisamente non lo considera il seme di una nuova lingua. «Per me si tratta di un invito a non ignorare che l’altra lingua, l’altra cultura, è sempre qui. In Aravrit arabo ed ebraico sono solo un po’ più vicine».

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Francesco D'Assisi

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