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«A Istanbul siamo pochi ma costruiamo ponti»

Giuseppe Caffulli
23 agosto 2016
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«A Istanbul siamo pochi ma costruiamo ponti»
Monsignor Ruben Tierrablanca Gonzalez durante il rito dell'ordinazione episcopale, l'11 giugno scorso a Istanbul. (foto Nathalie Ritzmann)

Intervista a mons. Ruben Tierrablanca Gonzalez, frate minore messicano di 63 anni, che da poco più di due mesi è vicario apostolico dei cattolici di rito latino a Istanbul. Profilo di una piccola Chiesa.


Poco più di 2 mesi fa, l’11 giugno, mons. Ruben Tierrablanca Gonzalez, 63 anni, ha iniziato ad Istanbul il suo ministero di vicario apostolico, alla vigilia di un periodo particolarmente tormentato per la Turchia e già segnato da una lunga serie di sanguinosi attentati terroristici. «Nonostante tutto, per la Chiesa locale non ci sono stati problemi, anche se lo stato di emergenza ci preoccupa», spiega il vescovo, frate minore di origine messicana, già in Turchia da oltre un decennio come responsabile, sempre a Istanbul, della Comunità internazionale dei frati minori per il dialogo. Nei giorni scorsi il presule ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande per aiutarci a comprendere meglio l’impegno della Chiesa cattolica oggi in Turchia.

Monsignor Tierrablanca, quando e come è giunta la notizia della sua nomina a nuovo vicario apostolico di Istanbul? Se l’aspettava o è stata una sorpresa?
Sapevo che si doveva nominare il nuovo vescovo del nostro vicariato apostolico d’Istanbul, ma per quanto mi risultava non pensavo che le consultazioni e molto meno la nomina mi coinvolgessero. Per tradizione Istanbul è una sede che ha avuto amministratori apostolici e vescovi europei; la Conferenza episcopale di Turchia fa parte dell’Assemblea delle Conferenze d’Europa. Non so se al presente ci siano dei vescovi non europei in Europa. Comunque ora sono al servizio della Chiesa locale d’Istanbul e il Signore, che mi ha chiamato a servire, mi sosterrà.

Qual è oggi la situazione del vicariato? Quanti sacerdoti, religiosi e religiose? Di quali ordini e congregazioni?
Il nostro vicariato apostolico conta 34 sacerdoti, quasi tutti religiosi; del clero diocesano ce n’è solo uno. Gli istituti religiosi rappresentati sono: agostiniani dell’Assunzione, domenicani, francescani delle varie famiglie (frati minori, conventuali e cappuccini), gesuiti, Istituto Cristo Redentor (Identes), Sacerdoti della Missione (Lazzaristi) e un prete del Movimento dei Focolari. Le religiose sono una quarantina appartenenti a diversi istituti religiosi: Figlie della Carità (di san Vincenzo De Paoli), Piccole sorelle di Gesù, Piccole sorelle dei Poveri, Suore di Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea, Suore Francescane del Sacro Cuore (dette di Gemona), una dell’Ordo Virginum e laici e laiche consacrate del Movimento dei Focolari e di un istituto austriaco.

E i fedeli laici?
I fedeli laici sono 15/16mila, in maggioranza stranieri. Ci sono anche alcuni cattolici turchi. Conviene ricordare che la Chiesa cattolica in Turchia ha comunità dei vari riti orientali: armeni, siriaci e caldei. Ultimamente, a causa dell’immigrazione dall’Europa dell’Est, ci sono anche ucraini cattolici di rito bizantino.

Quali sono le priorità e le emergenze della Chieda cattolica di Istanbul?
Individuare priorità ed emergenze per il vicariato d’Istanbul implica fare delle scelte in base al punto di vista di chi parla. A mio avviso, abbiamo urgente bisogno di creare insieme un progetto pastorale che risponda alle nostre necessità di minoranza ecclesiale che convive con le Chiese d’Oriente e altre Chiese e comunità ecclesiali della Riforma e del protestantesimo, e ciò in un Paese a maggioranza musulmana. Nei rapporti tra di noi e con i cristiani delle altre Chiese abbiamo delle ottime relazioni e questo ci fa sperare di poter fare insieme un cammino ecclesiale lasciandoci guidare dallo Spirito Santo.

E sullo stato delle relazioni con le Chiese sorelle? L’amicizia di Papa Francesco con Bartolomeo aiuterà anche il dialogo alla base?
I rapporti ecumenici sono molto incoraggianti e la fraterna amicizia del Papa con Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, ci spinge a continuare nella ricerca dell’unità in Cristo. L’impegno che ho assunto nel mio ministero episcopale è sottolineato nel motto scelto: Unum in Cristo. Ugualmente siamo in rapporti di vera amicizia con il patriarcato degli armeni apostolici di Istanbul e con la metropolia dei siriani ortodossi.

Ci sono problemi nel vicariato in relazione ai rapporti con la maggioranza musulmana? Ci sono esempi di dialogo?
In Turchia, e concretamente a Istanbul, i musulmani sono abituati da sempre a convivere pacificamente con i cristiani. A volte i pronunciamenti sulla rivalità delle religioni, soprattutto venuti dall’estero, possono danneggiare questi rapporti, ma nei tredici anni del mio servizio a Istanbul abbiamo creato buoni rapporti con i fratelli musulmani e promosso il dialogo interreligioso sia con l’Islam sia con i nostri fratelli maggiori del giudaismo. Adesso dobbiamo rispettare lo stato di emergenza dichiarato dal governo. Comunque la nostra presenza e servizio nella Chiesa cattolica si propone di costruire ponti e rapporti di pace e fraternità nel rispetto di tutte le religioni e confessioni cristiane.

La situazione del Vicino Oriente ha un grande impatto sulla Turchia. Come si sta muovendo la Chiesa locale e come reagisce alla necessità di sostenere chi fugge dalla guerra?
All’arrivo degli immigrati e rifugiati dell’Iraq e di seguito la grande massa dei siriani che fuggono dalla guerra, la Chiesa cattolica ha reagito con aiuti consistenti, ma non bene organizzati. È stata piuttosto una risposta all’emergenza senza coordinamento delle parti. Attualmente va migliorando l’organizzazione della Caritas nelle tre Chiese locali cattoliche di rito latino. Anche le comunità di rito orientale si stanno adoperando con più forza per le necessità che aumentano di giorno in giorno. Nella collaborazione ecumenica esiste un’organizzazione promossa dai protestanti americani in cui la direttrice dell’associazione è una consacrata laica cattolica e noi delle diverse Chiese e Parrocchie collaboriamo con loro.

Qual è la situazione dopo il golpe di luglio? Ci sono problemi per la Chiesa locale?
La situazione in Turchia dopo il golpe è quella che tutti conosciamo tramite il racconto dei media. La gente si sta riprendendo pian piano dalla paura causata dall’intervento armato, ma resta la preoccupazione per il terrorismo. Per la Chiesa cattolica non c’è finora una conseguenza diretta a causa di questi tristi avvenimenti; noi tutti dobbiamo rispettare lo stato di emergenza; per evitare le incomprensioni attendiamo che le difficoltà attuali si risolvano e possiamo avere più chiarezza nell’avvenire. Comunque le attività pastorali e di attenzione alla gente nelle nostre Chiese e i rapporti ecumenici con le altre Chiese continuano senza problemi.

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Francesco D'Assisi

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