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Pia, donna del Concilio innamorata della Terra Santa

Giorgio Acquaviva
27 aprile 2016
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Pia, donna del Concilio innamorata della Terra Santa
Un raro scatto di Pia Compagnoni tratto dai suoi album fotografici. È il 1972 e siamo nella penisola del Sinai, all'epoca occupata da Israele.

Si sono svolti questa mattina a Milano i funerali di Pia Compagnoni, che fu guida di Terra Santa molto nota e apprezzata. Ci ha lasciato, a 86 anni d'età, domenica 24 aprile. Un ricordo grato.


Pia Compagnoni, la “guida di Terra Santa” per definizione, è volata in cielo domenica 24 aprile, giorno in cui la Chiesa cattolica latina propone – con le parole dell’evangelista Giovanni – il «comandamento nuovo» per i discepoli di Gesù. Ma anche domenica delle Palme per le Chiese ortodosse. Pia credeva molto alla “pedagogia delle date”.

La incontrai la prima volta un pomeriggio di primavera del 1984. Lavoravo al desk delle cronache provinciali del quotidiano Il Giorno, quando mi annunciarono la sua visita. La conoscevo di nome e di fama, ed ero emozionato.

Pia voleva parlarmi dei nuovi programmi che stava mettendo a punto per i Pellegrinaggi Paolini e – sapendo che seguivo l’attività pastorale dell’arcivescovo di Milano, il card. Carlo Maria Martini – mi chiedeva se ero interessato a partecipare a un tour in Terra Santa. Ovviamente dissi di sì e cominciò così il mio innamoramento per Gerusalemme.

Naturalmente Pia aveva in serbo delle sorprese, e me ne accorsi subito non appena dalla Galilea “salimmo” verso la Città Santa, fra un Salmo delle ascensioni e la spiegazione che i sassi della Giudea sono in effetti i cuori di pietra dei pellegrini che hanno ricevuto dal Signore un cuore di carne. Mi disse che dovevo assolutamente conoscere Rina Geftman e la comunità di espressione ebraica e mi diede i rispettivi indirizzi. Rina abitava in via dei Profeti, verso Betlemme; la comunità invece all’epoca celebrava l’Eucaristia (in lingua ebraica) in Agron Street, vicino al Consolato americano. Furono due esperienze fondamentali per la mia comprensione del tema delle “radici” della nostra fede.

Altri tasselli si sarebbero aggiunti: la “scuola della Parola” e l’amore per la Bibbia di padre Carlo Maria Martini, i numerosi viaggi in Israele e Palestina, la conoscenza con il biblista gesuita padre Francesco Rossi de Gasperis, la pubblicazione di un libro sulla Chiesa-madre di Gerusalemme, la frequentazione con il Custode di Terra Santa fra Pierbattista Pizzaballa, fino alla recente conoscenza di padre David Neuhaus – lui pure gesuita – e la sua Qehilà. Tutto questo non sarebbe avvenuto senza Pia Compagnoni. Tale è e rimane il mio debito di riconoscenza nei suoi confronti.

Pia era nata l’8 giugno 1929 a Poschiavo, nel Cantone dei Grigioni, e sempre portò nel cuore la sua Svizzera. Nell’ottobre del 1960 entrò nella Compagnia di San Paolo. Era a Roma due anni dopo all’apertura del Concilio Vaticano II e lei stessa, in un’intervista alla rivista Il Piccolo nel 2012, aveva rievocato quello storico evento: «Ricordo come se fosse ieri, con commozione, l’interminabile fila dei 2.500 vescovi che la mattina di quel giorno entravano in San Pietro, e la fiaccolata della sera che sembrava incendiare la piazza…». Cominciò a frequentare la sala stampa che era stata allestita e fu presto notata e “arruolata” per tradurre in italiano gli interventi di prelati e studiosi tedeschi (ebbe così occasione di conoscere il giovane teologo Joseph Ratzinger, che accompagnava il cardinale Josef Frings di Colonia).

Un altro momento entusiasmante, al Concilio, Pia lo visse nel 1965, quando furono approvate la Costituzione sulla Parola di Dio (Dei Verbum) e la Dichiarazione sulla libertà religiosa (Dignitatis Humanae). Circa la prima ricordava l’impegno di un manipolo di personaggi che avrebbero fatto la storia del dialogo e dell’ecumenismo: Agostino Bea, Henri De Lubac, Yves Congar, Karl Rahner, Jean Danielou, Leo Suenens. Anni dopo avrebbe scoperto che anche al Pontificio Istituto Biblico un giovane docente – Carlo Maria Martini – seguiva con occhio attento la formulazione di quel documento epocale. Della seconda, ricordava le difficoltà che si profilarono e che furono superate grazie al lavoro intenso del cardinale svizzero Charles Journet, amico di Jacques Maritain, del quale Paolo VI si fidava incondizionatamente.

Subito dopo il Concilio, e quasi come inevitabile corollario pratico dell’apertura al mondo, Pia iniziò la sua attività con i Pellegrinaggi Paolini nelle diverse aree europee, e di tanto in tanto anche in Terra Santa. Poi la sua “vocazione” emerse con più precisione e la portò a stabilirsi a Gerusalemme, inviata proprio a coordinare quel particolare pellegrinaggio che la caratterizzò sempre, la visita alla Terra del Santo (come amava dire lei) e che privilegiava i luoghi e le “pietre vive” al tradizionale devozionismo. Rimase là trent’anni.

Nella sua lunga permanenza a Gerusalemme, Pia ha migliorato gli itinerari dei pellegrinaggi, arricchendoli con visite, e contatti, a realtà importanti, dalla scuola Sacra Famiglia dell’Opera don Guanella di Nazaret all’istituto Effatà Paolo VI delle suore dorotee di Betlemme, dai fratelli di Bose alle Suore di Sion. Sua fu l’iniziativa di fare visita alle diverse comunità cristiane (alcune davvero minuscole e “nascoste”). O l’idea di proporre visite a kibbutz religiosi o a Nevé Shalom-Wahat as-Salaam, la “creatura” di padre Bruno Hussar dove vivono insieme famiglie ebree e arabe, musulmane e cristiane. Approfondì gli studi biblici, frequentando centri culturali e biblioteche, e studiando i testi sacri. La sua produzione di libri, guide biblico-turistiche (alcune pubblicate anche dalla Franciscan Printing Press della Custodia di Terra Santa – ndr) e articoli è sterminata. Ha anche guidato e istruito parecchie future guide, presbiteri e laici. Ha fatto scuola a illustri biblisti e studiosi, fra i quali padre Carlo Maria Martini con cui aveva un sincero e riservato rapporto di amicizia, peraltro ricambiato.

Parlava correttamente il tedesco e aveva studiato bene l’inglese. Conosceva l’ebraico e anche un po’ l’arabo. E questo le permetteva di penetrare la cultura e la mentalità dei due popoli “condannati” a vivere spalla a spalla nella Terra tanto amata. Meticolosa e puntigliosa nella ricerca continua del significato delle parole e dei nomi dei luoghi («Betlehem in ebraico significa “Casa del pane” – diceva – e non a caso là è nato Colui che è il Pane di Vita…»), ogni volta che nei discorsi legava insieme Primo e Nuovo Testamento, un’unica e ininterrotta Rivelazione del Dio Uno e Trino.

La sua mission era favorire il dialogo e l’incontro fra le tre religioni abramitiche: ebrei, cristiani e musulmani. E ha saputo creare attorno a sé, proprio per questa sua capacità di aprirsi a tutti, un alone di amicizia, dai più semplici (i collaboratori, gli autisti dei pullman…) ai più colti (vescovi, teologi, biblisti, studiosi, professori): tutti incontri preziosi per lei e per loro. E come dimenticare la sua capacità di mantenere relazioni e rapporti con tutti, attraverso scritti e telefonate, senza mai dimenticare un compleanno, un onomastico, un anniversario?

La politica mediorientale e le complicazioni “sul campo”, con i suoi drammi e le sue contorsioni, la lasciavano sgomenta. A partire dalla prima intifada (1987-1993) capì che la “sua” Terra Santa stava cambiando, che un virus pericoloso stava avvelenando i rapporti fra i due popoli tanto amati. Quando la salute cominciò ad appesantirla, dovette rinunciare ai viaggi e questo la rendeva malinconica. Purtuttavia continuò a scrivere e lavorare per far conoscere quella terra, dove il cielo si è piegato a toccare la terra.

Una volta mi raccontò un episodio avvenuto durante uno degli ultimi pellegrinaggi, che l’aveva particolarmente turbata e addolorata. Mi chiese di non parlarne in pubblico, ma ora credo di potermi sentire libero da quell’impegno, per una questione di lealtà e di completezza della informazione. Un suo antico collaboratore palestinese le si era avvicinato e le aveva sussurrato una minaccia all’orecchio: «Non preoccuparti, quando arriverà il tuo momento faremo in modo che tu non soffra…». Era rimasta turbata, come davanti a un tradimento. Sì, il clima stava davvero cambiando.

Eppure Pia non abbandonò mai la sua visione piena di speranza. Aveva creduto al sogno di Yitzhak Rabin, di dare vita a una Confederazione («Come la mia Svizzera…», diceva) che vedesse insieme Israele-Palestina-Giordania, per una rinascita di quel lembo di terra dove tutto cominciò e dove tutto è possibile, anche la pace.

Credere – diceva – significa “aderire”, come ci spiega l’etimologia delle parole ebraiche aman (nella forma attiva: abbandonarsi come un bimbo in braccio alla mamma) e batah (nella forma passiva: avere fiducia). Mi piace ricordarla così, abbandonata nelle braccia del suo Signore, padre e madre. Ciao Pia, e Shalom!

 


 

Un ricordo dallo Studium Biblicum Franciscanum

Pia Compagnoni ha avuto un rapporto particolare con i francescani di Terra Santa a vario titolo, a cominciare da quello prolungato e ripetuto legato al fatto che lei ha guidato schiere di pellegrini nei santuari da loro custoditi.

Grazie alla sua buona preparazione culturale e alla passione per la lettura e per i libri, la Compagnoni, poco dopo il suo arrivo a Gerusalemme, iniziò a pubblicare articoli e libri con la tipografia editrice della Custodia di Terra Santa: la Franciscan Printing Press. Il suo primo articolo compare nel secondo numero della rivista La Terra Santa dell’anno 1966. Pia vi tratta di Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa. Appunti ecumenici sul capitolo VIII del “De Ecclesia” e accenna a episodi personali vissuti durante il Concilio Vaticano II. La collaborazione proseguì con contributi su argomenti propri della Terra Santa, si estese anche alle altre riviste della Custodia di Terra Santa (francese, spagnola e inglese) e durò per quasi un quarantennio. L’ultimo suo articolo risale al 2005; in seguito la rivista con il trasferimento a Milano mutò formato e impostazione.

Pia ha pubblicato anche un buon numero di libri, non pochi dei quali con la medesima editrice francescana. Sia negli articoli che nei libri l’Autrice nomina spesso con stima e gratitudine i frati con i quali intratteneva rapporti culturali e dai quali riceveva aiuto e collaborazione. Allo Studium Biblicum Franciscanum trovava cordiale accoglienza dagli studenti che lei invitava a unirsi ai suoi pellegrinaggi e dai docenti che le mettevano a disposizione conoscenze e libri e in qualche caso – come per gli articoli sui monasteri e per il libro sul Deserto di Giuda – anche materiale inedito. Chi percorre i suoi testi trova con frequenza i nomi di Bellarmino Bagatti, Emanuele Testa, Lino Cignelli, Ignazio Mancini, Virgilio Corbo, Claudio Baratto, Michele Piccirillo, Frédéric Manns e altri. La corrispondenza di Pia con gli “amici” dello Studium Biblicum è durata fino a pochi mesi prima del suo ingresso nella Gerusalemme del cielo. 

fra Giovanni Claudio Bottini ofm
decano emerito dello Studium Biblicum Franciscanum, Gerusalemme

Ultimo aggiornamento: 03/05/2016 15:23

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