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Rawabi, la città futurista vede la luce

Mélinée Le Priol
21 aprile 2015
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Alle porte di Ramallah, nei Territori Palestinesi di Cisgiordania, sta sorgendo una nuova città. È destinata alla classe medio-alta e molto diversa dagli altri centri urbani palestinesi. Secondo il suo ideatore, il magnate Bashar al-Masri, dovrebbe ospitare 40 mila abitanti, parecchi dei quali saranno cristiani... Ma neppure Rawabi è esente da critiche.


Con un’andatura sinuosa, un gatto dai riflessi dorati passeggia tra i palazzi ancora in costruzione e i macchinari del cantiere. Come sia arrivato fin qui non è dato saperlo, ma senza dubbio gli spetta il titolo di «primo gatto di Rawabi». La vita per lui dovrebbe diventare più facile di qui a un paio di mesi, quando i primi abitanti traslocheranno nella nuova città in costruzione. Chissà?! Forse gli offriranno un tetto e un rifugio.

Che aspetto ha Rawabi? Prendete una classica cittadina palestinese e aumentate l’altezza delle case fino a farle diventare dei palazzi slanciati di una decina di piani. La tinta delle pietre rimane la stessa: un giallo pallido che il sole mediorientale rende dorato. Ora sgombrate i tetti dalle antenne e dai bidoni neri che sono una specificità paesaggistica dei centri urbani in Cisgiordania: spazzate via tutto lasciando solo dei pannelli solari sapientemente ordinati. Congedate i venditori di dolciumi e i centri di telefonia fissa e Internet, poi concentrate tutti gli esercizi commerciali in un centro commerciale coperto. Infine, rimpiazzate le automobili impolverate e i vecchi taxi gialli con autobus elettrici all’ultimo grido e un tranquillo centro unicamente pedonale.

Ormai l’avete capito. Rawabi non somiglia affatto al resto della Palestina. Destinata alla classe media ben istruita che fugge i congestionati centri urbani della Cisgiordania, questa città futurista è sbocciata pochi chilometri a nord di Ramallah, sulla strada per Nablus. Gli scavi sono iniziati nel 2010, il cantiere vero e proprio un anno più tardi. Ad oggi quattro dei ventitré quartieri previsti sono praticamente completi. Gli operai lavorano alle ultime finiture per allestire gli appartamenti moderni e funzionali che dovrebbero accogliere dal prossimo giugno i loro 650 proprietari. Una volta chiusi i cantieri, la città di Rawabi dovrebbe ospitare 40 mila persone.

Presentato per la prima volta nel 2008, questo titanico progetto immobiliare ha l’ambizione di porsi come un laboratorio del futuro Stato palestinese. È stato immaginato da Bashar al-Masri, miliardario palestinese-americano, che ha fatto fortuna in campo immobiliare, nelle comunicazioni e nelle nuove tecnologie. «Rawabi, è un modo per mostrare al mondo che i palestinesi non cercano di distruggere, ma di costruire», sostiene l’uomo d’affari, deplorando che il suo popolo sia costantemente associato al terrorismo. Poi aggiunge, prudente: «Sono cosciente che questa città non potrà portare la pace. La quale verrà solo quando i nostri due popoli (palestinese e israeliano – ndr) si saranno messi d’accordo».

Avallato dalle autorità israeliane, il cantiere va avanti da cinque anni con i ritmi consentiti dal regime di occupazione. Nulla è semplice e tutto deve essere negoziato, anticipato, calcolato. I materiali edili vengono stoccati in quantità superiori alle reali necessità per evitare brutte sorprese: e se un giorno un camion venisse bloccato al check point? Fino al mese scorso, i responsabili del progetto erano nell’incertezza per quanto riguarda l’approvvigionamento idrico. Alla fine Israele ha consentito che un acquedotto passi sul suo territorio. Così l’acqua dovrebbe arrivare a Rawabi entro fine maggio.

Bisogna dire che se il 90 per cento dei 6,3 chilometri quadrati di Rawabi si trova in zona A (sotto il totale controllo palestinese), il restante 10 per cento è situato in zona B e C (sotto il controllo, parziale o totale, di Israele). In queste porzioni di territorio, e in particolare per i 2,8 chilometri di strada che conduce alla nuova città, è necessaria un’autorizzazione dello Stato ebraico che dovrà essere rinnovata di anno in anno. In altri termini, l’accesso alla nuova città potrebbe essere impedito in ogni momento. Va aggiunto che nella collina che fronteggia quella di Rawabi sorge un insediamento ebraico – Ateret – in cui vivono 300 abitanti.

«Ora che il problema dell’acqua è stato risolto, non ho più alcun dubbio: Rawabi durerà – assicura fiducioso Bashar al-Masri –. Magari (come impresa) falliremo, ma il progetto sopravvivrà perché ormai è lanciato». Fallimento? Sì, perché l’Autorità Palestinese, strangolata sotto il profilo finanziario, non ha contribuito in alcun modo, neppure per costruire le strade o le tre scuole già realizzate. Il principale investitore in questo progetto da 345 milioni di euro, è il Qatar, che ne finanzia i due terzi. Per onorare questo partner essenziale, uno dei cinque accessi alla città sarà intitolato a Doha, la capitale dell’emirato.

Per aver fatto ricorso nel suo cantiere a tecnici e subappaltatori israeliani, Bashar al-Masri si è attirato i fulmini di numerosi palestinesi, che deplorano anche l’aspetto della città: trovano che richiami troppo un insediamento ebraico…

L’imprenditore ribatte che si è fatto di tutto per evitare ogni somiglianza. «Contrariamente a una colonia, i cui quartieri sono monotoni perché tutti i palazzi sono identici, noi abbiamo costruito edifici di forme e dimensioni diverse», si difende al-Masri. «Inoltre le pietre utilizzate a Rawabi sono gialle, mentre quelle delle colonie sono bianche. Per contro quando mi hanno detto di non costruire in cima alla collina mi sono ribellato. Tanto peggio per le somiglianze: mi rifiuto di costruire nel fondo valle per poi lasciare la vetta ai coloni!».

Altra critica spesso indirizzata a questo progetto: la città sarà un enclave per palestinesi ricchi e rappresenta un affare per gli israeliani che non dovranno preoccuparsi della loro sicurezza in questa zona. «Rawabi è Palestina e i suoi abitanti saranno palestinesi come gli altri – ribatte al-Masri –. Non è perché vivranno in una cornice gradevole che saranno meno radicali e rinunceranno a battersi per i loro diritti». Aggiunge che ci sono anche israeliani favorevoli alla creazione di uno Stato palestinese e che lo sperano prospero: «Quindi se Rawabi è popolare in Israele, tanto meglio!».

Su alcuni punti, Bashar al-Masri, ha dovuto ridimensionare le proprie ambizioni. Per esempio si immaginava che qui venissero creati tra i 3 mila e i 5 mila posti di lavoro, essendo previsti numerosi uffici e spazi destinati ad accogliere imprese, attive soprattutto nel campo delle nuove tecnologie. Potrebbe trattarsi di imprese locali o internazionali: Google e Microsoft potrebbero approfittare della nuova città per stabilirsi in Palestina? «Devo ammettere che per ora non abbiamo avuto molte risposte positive dalle grandi imprese – riconosce al-Masri –. Bisogna dire che la situazione politica non gioca a nostro favore».

Un fatto degno di nota: l’11 per cento del primo gruppo di acquirenti degli immobili di Rawabi è costituito da cristiani, che rappresentano solo il 2 per cento della popolazione palestinese. Una chiesa ortodossa verrà costruita poco sotto il centro città. Il patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teofilo III, ne ha già benedetto la prima pietra nel febbraio 2013.

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