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La sfida dell’Isil ad al-Qaeda

Lorenzo Nannetti
4 novembre 2014
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La sfida dell’Isil ad <i>al-Qaeda</i>
Verso l'Isil affluiscono uomini e fondi da varie parti del mondo.

Molta attenzione è stata dedicata all’emersione dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) e ai combattimenti di questi ultimi mesi, con le conseguenze che hanno provocato sulle popolazioni civili. Molta meno attenzione è stata invece rivolta a ciò che questo gruppo ha provocato all’interno del radicalismo islamico. Proviamo a farlo qui.


Le vicende relative all’emersione dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) e ai combattimenti di questi ultimi mesi sono state trattate dai media soprattutto in relazione al loro effetto nei confronti delle popolazioni locali, dei rapporti tra gli Stati mediorientali e della reazione occidentale. Molta meno attenzione è stata invece rivolta a ciò che questo gruppo ha provocato all’interno del mondo radicale islamico. In effetti, di pari passo con lo sconvolgimento degli equilibri regionali, l’Isil si è dimostrato un vero e proprio tornado anche all’interno dell’universo del terrorismo. Partiamo da alcune considerazioni: per cominciare l’Isil non è altro che il movimento una volta conosciuto come al-Qaeda in Iraq, che negli anni ha cambiato nome. Nonostante ciò, gli stessi dirigenti internazionali di al-Qaeda hanno espulso l’Isil dal movimento, definendolo «troppo feroce con la popolazione».

In secondo luogo gran parte dell’Islam, non solo moderato ma anche di estrazione radicale (inclusa al-Qaeda stessa), ha condannato la pretesa di Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isil, di assumere il titolo di «califfo», cosa che equivale a porsi come leader supremo dell’umma, la comunità dei fedeli musulmani sparsi in tutto il mondo.

Nonostante ciò, numerosi altri gruppi terroristi minori hanno progressivamente scelto di affiliarsi all’Isil, dichiarando la propria fedeltà, pur operando lontano dall’Iraq e dalla Siria.

Infine, quando il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha lanciato la propria strategia contro l’Isil, con la formazione della coalizione internazionale comprendente anche Paesi arabi, al-Qaeda sembra aver inspiegabilmente cambiato linea, offrendo all’Isil di «combattere insieme».

Se a un osservatore casuale tale sequenza di eventi non appare particolarmente significativa, essa ci conferma invece tutta una serie di dinamiche interne al radicalismo islamico che non vanno ignorate. Bisogna rendersi conto che la sfida dell’Isil non è solo all’Occidente e alle società arabe, ma anche allo stesso «ordine gerarchico» che al-Qaeda aveva di fatto imposto alle altre organizzazioni terroriste dai tempi di Bin Laden.

«Ora siamo noi i più importanti» è il messaggio dell’Isil al mondo radicale islamico; «il mondo ora teme noi, non voi» è l’implicita sfida rivolta ad al-Qaeda.

Perché questo? E che importanza ha? Nell’universo del terrorismo islamico vige una dinamica che, semplificando, potremmo definire del «saltare sul carro del vincitore». Più un gruppo è forte e di successo, più la sua rilevanza, sia in termini di pericolosità effettiva sia di attenzione mediatica, aumenta. E più questo avviene, più esso attira reclute (anche dall’estero) e finanziamenti. È una sorta di spirale «positiva» – per il gruppo terrorista, ovviamente.

Nel contempo, gli altri gruppi rischiano progressivamente di essere ignorati e dunque, di perdere quelle stesse reclute e quegli stessi finanziamenti. Il che li rende sempre meno forti, meno rilevanti, meno importanti e dunque meno appetibili per future reclute e finanziatori. È una sorta di spirale «negativa».

L’Isil sta facendo questo: i suoi successi sul campo, la forte spinta mediatica che accompagna le sue azioni (sia tramite la propria opera di propaganda, sia tramite la risonanza sui media occidentali), il timore che incute nei suoi avversari lo hanno fatto diventare, agli occhi degli sponsor del terrorismo (emiri, affaristi, a volte perfino interi Stati) «il cavallo vincente su cui puntare». Per i combattenti desiderosi di jihad, è il gruppo vincente di cui bisogna fare parte, perché gli altri non contano. Per i gruppi minori esistenti in giro per il mondo, affiliarsi significa aumentare anche la propria risonanza, importanza, pericolosità, e godere dunque dei benefici derivanti. Non farlo significa rischiare di essere ignorati.

Per al-Qaeda, questa è una sfida diretta per la supremazia. Il movimento creato da Osama Bin Laden e ora guidato da Ayman al-Zawahiri si è progressivamente indebolito ma ha goduto di questi stessi vantaggi per almeno un decennio, essendo considerato il gruppo terrorista più pericoloso. Riceveva ingenti finanziamenti; miliziani da tutto il mondo accorrevano alle sue bandiere; gruppi estremisti dichiaravano la loro affiliazione, anche se lontani.

Ora invece l’Isil sta «rubando la scena». Per questo da una condanna iniziale si è giunti a un’offerta di collaborazione: perché al-Qaeda non può permettersi di rimanere silente e deve mostrarsi altrettanto feroce e combattiva, altrettanto pericolosa e rilevante. Deve ritornare ad essere considerata il nemico numero uno dell’Occidente. Oppure rischiare, progressivamente, di scomparire. Da qui la possibilità che decida anch’essa di aumentare gli attacchi e gli attentati contro l’Occidente e i suoi interessi, nel tentativo di tornare nuovamente al centro dell’attenzione mediatica internazionale.

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Francesco D'Assisi

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