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L’obiezione di coscienza di 43 agenti dei servizi segreti israeliani

Terrasanta.net
17 settembre 2014
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L’obiezione di coscienza di 43 agenti dei servizi segreti israeliani
Un militare dell'Unità 8200 durante un'esercitazione sul campo nel corso del 2012. (foto: Moshe Shai/Flash90)

Pochi giorni fa 43 riservisti dei servizi di sicurezza israeliani hanno indirizzato al primo ministro Benjamin Netanyahu e ai vertici militari una lettera per esprimere la propria obiezione di coscienza davanti a un sistema di spionaggio che calpesta i diritti fondamentali dei palestinesi. E che farebbe della sicurezza nazionale un pretesto per perpetuare l'occupazione.


(Gerusalemme/n.k.-g.s.) – Reca la data del 12 settembre la lettera che pochi giorni fa 43 riservisti delle forze armate israeliane hanno indirizzato al primo ministro Benjamin Netanyahu, al capo di stato maggiore, generale Benny Gantz, e al responsabile dell’intelligence militare, il generale Aviv Kochavi, per denunciare un «sistema che calpesta i diritti (umani) fondamentali ed espropria ampie porzioni di terre per gli insediamenti israeliani».

I firmatari della lettera-denuncia sono tutti veterani dell’Unità 8200 – la più prestigiosa unità dei servizi di sicurezza israeliani – che dichiarano espressamente la propria obiezione di coscienza.

Ad essere apertamente messe in discussione, per la prima volta, non sono tanto le operazioni militari sul terreno, ma l’attività di spionaggio contro la popolazione palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. I 43 refuznik comunicano di non voler più «prender parte ad azioni contro i palestinesi e continuare ad essere strumentalizzati per rafforzare il controllo militare sui palestinesi nei Territori occupati». Pubblicata poche settimane dopo il cessate il fuoco raggiunto il 26 agosto con Hamas, la lettera colpisce. Ciò che porta alla luce è sufficientemente grave da provocare reazioni ai livelli più alti della politica israeliana.

Il testo conferma il ricorso a pratiche particolarmente intrusive, che violano ogni diritto di riservatezza. Uno dei firmatari della lettera lo precisa chiaramente: «L’Unità 8200 tratta ciascun palestinese come un nemico». I veterani che hanno accettato di riferire alla radio o alla televisione le loro testimonianze descrivono casi particolarmente scioccanti: come il colpo destinato a eliminare un terrorista, che invece uccide per errore un bambino, senza che nessuno poi ne risponda. Ma si possono citare anche i palestinesi schedati per il loro orientamento sessuale o i malati che necessitano di un costoso intervento medico in Israele. Informazioni del genere sono preziose e, prima o poi, possono risultare molto utili.

Occorre sottolineare che l’Unità 8200 non va unicamente a caccia del potenziale terrorista che sta preparando un attacco. Al contrario, si interessa a chiunque potrebbe diventare un informatore dello Stato ebraico, andando a cercare nei particolari più privati della sua vita quanto potrebbe essere utilizzato come mezzo di pressione. Sui palestinesi si scava senza le tutele e i limiti previsti per i cittadini israeliani. I dati personali vengono «utilizzati a fini di persecuzione politica e per dividere la società palestinese reclutando collaborazionisti», nota la dichiarazione dei refuznik. I quali osservano che queste operazioni di ascolto e intelligence sono «nefaste per la pace» e che «l’espansione delle colonie (israeliane nei Territori palestinesi di Cisgiordania – ndr) non ha nulla a che vedere con la sicurezza nazionale».

Non è la prima volta che il tema proposto dalla lettera dei 43 viene portato all’attenzione dell’opinione pubblica. Nel 2012, un documentario (The Gatekeepers) aveva presentato la testimonianza di sei ex direttori dello Shin Beth (i servizi di sicurezza interna di Israele), tutti molto critici rispetto alla colonizzazione della Cisgiordania. Il film aveva fatto molto discutere: questo genere di dichiarazioni sono difficili da accettare per gli israeliani, generalmente molto affezionati alle forze armate e fieri dei loro soldati.

La risposta politica alla lettera del 12 settembre non s’è fatta attendere. Il premier Netanyahu ha parlato di «calunnie senza fondamento», mentre il portavoce dell’esercito ha dichiarato che «verrà avviato un procedimento disciplinare netto e chiaro». Il ministro della Difesa, Moshe Ya’alon, si è rammaricato che questi soldati «incoraggino gratuitamente la campagna di delegittimazione contro lo Stato di Israele e i suoi soldati». Per completare il quadro, un gruppo di 200 veterani della stessa Unità 8200 hanno condannato questo «tentativo di compromettere l’unità interna», meritevole solo di «disgusto e costernazione».

Al contrario, la posizione espressa nella lettera dei 43 è stata salutata con soddisfazione dai dirigenti palestinesi, stando a quanto riferisce YnetNews. «Se, tra gli israeliani, ci sono 43 militari che rigettano l’idea dell’occupazione, noi consideriamo la loro posizione come un atto morale», ha affermato il portavoce dei servizi di sicurezza palestinese Adnan Damiri.

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