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Striscia di Gaza, la “terapia” del circo

Chiara Cruciati
27 febbraio 2014
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Striscia di Gaza, la “terapia” del circo
I ragazzi dei corsi di circo a Gaza City.

A Gaza City, a pochi passi dal mare, alcuni giovani tengono regolarmente corsi di formazione per clown. Anzi, per futuri formatori di clown. L’idea è venuta a due giovani palestinesi, da anni clown di professione, nonché giocolieri e artisti circensi. Dietro c’è un progetto nato nel marzo 2011: la prima scuola di circo nella Striscia di Gaza.


(Gaza City) – Vuvu, Polly, Farfur, Suna, Pollypò, Bongo e Iuppidù camminano per la stanza. A coppie, uno di loro muove la mano destra, l’altro segue con il volto il movimento. A destra, a sinistra, sempre più in basso e poi di nuovo in alto. Si muovono con armonia, gli occhi fissi sulla mano che guida la danza.

In una stanza di Gaza City, a pochi passi dal mare, si tiene un corso di formazione per clown. Anzi, per futuri formatori di clown. L’idea è venuta a due giovani palestinesi, Majed Kalloub e Ghassan Abunada, da anni clown di professione, giocolieri e artisti circensi. Dietro c’è un progetto nato nel marzo 2011: la prima scuola di circo nella Striscia di Gaza.

«Siamo partiti tre anni fa, con un primo corso per bambini, insieme al centro Al Khattan – ci spiega Majed – Nel 2011 abbiamo tenuto due corsi, a marzo ed ad agosto. Da allora non ci siamo più fermati. Lavoriamo con 25-30 bambini, dagli 8 ai 13 anni, a Beit Lahiya nel Nord della Striscia».

«All’inizio a formarci era un gruppo di ragazzi stranieri. Dopo il secondo corso, però, il nostro formatore non è più riuscito ad entrare a Gaza perché bloccato da Israele. Allora abbiamo proseguito da soli. Con l’autoformazione: abbiamo scaricato video da internet e da YouTube, mentre cercavamo altri esperti che potessero aiutarci. Abbiamo ricevuto il sostegno di una scuola di circo spagnola attraverso l’associazione Creart, nell’ambito di un progetto di supporto psico-sociale per i bambini di Gaza».

In tre anni, sono stati tanti gli spettacoli gestiti direttamente dai bambini: dai numeri circensi alla giocoleria, dalla clowneria all’acrobatica. Difficile reperire gli strumenti e le attrezzature necessarie, spiegano i ragazzi, ma l’entusiasmo non manca mai. I bambini e i loro visi colorati giocolano con le palline, fanno svolazzare il diabolo in aria, colorano la stanza con il rollio dei cerchi, fanno girare i piatti su un sottile asticella, si trasformano in piramidi umane.

«I bambini adorano il circo – continua Majed –. Certi spettacoli li hanno visti solo in televisione e adesso sono in grado di metterli in pratica. I momenti più belli sono gli spettacoli creati dai bambini stessi per la comunità. Il circo ha delle immense potenzialità: attraverso la giocoleria, l’acrobatica e la clowneria, i bambini vanno in profondità e tirano fuori i loro problemi, i loro sentimenti, i loro traumi. Per questo le famiglie li sostengono in questa attività: sanno che è un perfetto strumento di analisi e rimozione del trauma».

Gli fa eco Ghassan: «La figura del clown li aiuta a stare meglio sia fisicamente che psicologicamente. L’acrobatica, invece, li aiuta a conoscere meglio il loro corpo e a incrementare la fiducia in se stessi. La giocoleria tira fuori la creatività e permette di liberarsi dalla noia della vita quotidiana, in un luogo dove le opportunità di fare attività o di partecipare ad iniziative di formazione sono ben poche. Giocolano con tutto, con i limoni, i pomodori».

«Da una parte il circo permette di acquistare fiducia in se stessi, dall’altra di liberare l’aggressività accumulata a causa del conflitto, dell’impossibilità di muoversi liberamente e delle bombe che distruggono case e vite umane – continua Ghassan –. Quando il bambino riesce a parlare di certi problemi all’interno di un gruppo composto di bambini con gli stessi traumi, il processo di superamento diventa collettivo ed è più facile esternalizzare il trauma».

Majed e Ghassan non sono psicologi. Hanno 23 anni e fanno i clown da una vita, alle feste di compleanno prima e oggi nella scuola di circo. Ma sanno che, benché l’intervento che offrono non sia diretto, il lavoro che svolgono sulla fiducia e il rafforzamento delle capacità di ogni bambino è fondamentale. È un primo passo, una parte della soluzione di un problema profondo che affligge la stragrande maggioranza dei bambini di Gaza. Bambini che hanno visto morire genitori, amici o parenti, hanno visto le loro case demolite dalle bombe e ancora oggi soffrono di gravi disturbi post-traumatici da stress. Fanno la pipì a letto, perdono il sonno e i capelli, non hanno fiducia né in se stessi né nei loro genitori, che non vengono più visti come le uniche figure in grado di proteggerli.

«Il problema è l’ambiente che circonda questi bambini e ragazzi», conclude Majed. «Un ambiente fatto di povertà, di mancanza di diritti di base, del continuo timore di perdere quel poco che si ha. Tutto questo porta naturalmente ad accumulare aggressività e violenza. Il circo butta fuori questa violenza, la trasforma in qualcosa di positivo». Nella speranza che le nuove generazioni di Gaza trovino l’equilibrio necessario a lavorare per la propria terra.

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Francesco D'Assisi

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