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Il rap arabo

Naman Tarcha
1 febbraio 2014
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Il <i>rap</i> arabo
Il gruppo palestinese dei Dam, formato nel 1999.

Avete letto bene: è rap ed è in arabo. La vera rivoluzione è musicale, e dilaga tra le nuove generazioni nel mondo arabo, diviso tra caos e incertezze, nella scia dei cambiamenti politici, dei conflitti e delle guerre in atto. I giovani scelgono un linguaggio comune, ma completamente estraneo alla società araba, che li guarda con sospetto.


(Milano) – Avete letto bene: è rap ed è in arabo. La vera rivoluzione è musicale, e dilaga tra le nuove generazioni nel mondo arabo, diviso tra caos e incertezze, nella scia dei cambiamenti politici, dei conflitti e delle guerre in atto. I giovani scelgono un linguaggio comune, ma completamente estraneo alla società araba, che guarda con sospetto i propri ragazzi imitare loro coetanei lontani indossando cappelli strani, magliette colorate e pantaloni abbassati, usando toni a volte molto duri e parole che esprimono la rabbia e la vera voglia di cambiamento.

I primi gruppi rap iniziano a spuntare in Nord Africa solo a fine anni Novanta, subito seguiti da quelli del Medio Oriente, e poi spopolano nei Paesi del Golfo.

Il rap arabo, a differenza del rap internazionale, mescola fortemente parole, poesie e canto, mentre la voce del rapper passa in secondo piano. Una vera e propria contaminazione culturale, anche se i rapper arabi sono riusciti, a modo loro, a raggiungere un buon compromesso, legando la musica rap con l’identità dei loro luoghi e diverse società, inserendo pezzi di musica mediorientale e araba, e trattando temi specifici. Tutto questo utilizzando sia il cosiddetto Arabo classico, sia i vari dialetti arabi che si parlano nei vari Paesi.

La parola infatti, in Medio Oriente come d’altronde nel rap, ha  grande peso e rispetto, ed è molto amata e ricercata. Questo avviene non solo nella letteratura e nella poesia, ma anche in tutte le manifestazioni artistiche popolari. Ne è un esempio lo Zajal, antica arte dell’improvvisazione in linguaggio dialettale, molto diffusa in Libano e in Siria. 

Dunque, la poesia e le parole in rima e con un ritmo, fanno parte in qualche modo della tradizione popolare araba, nonostante che il rap venga spesso etichettato come sfogo giovanile e musica da strada, molto lontana dalle melodie dei salotti e dalle festose e sognanti serate da mille e una notte.

Il rap è forse l’unico spazio per i giovani in cui è concesso esprimersi liberamente e dire la propria senza censure; affrontare con sarcasmo, coraggio e trasparenza tutti gli argomenti tabù che la società araba tende ad ignorare, ancorata com’è alle usanze e alle tradizioni del passato: libertà, scelte e riforme politiche, corruzione, repressione sessuale, violenza sulle donne, omosessualità, disoccupazione e povertà. 

A volte questi artisti sono riusciti a raggiungere il grande pubblico, come nel caso della diciottenne rapper egiziana Mayam Mahmoud, che arriva alle semifinali del programma televisivo Arabs Got Talent, affrontando il tema scottante della molestie sessuali sulle donne in Egitto. 

Ma non sempre sono rose e fiori. «Lede la dignità, offende il pudore, utilizza linguaggio inadeguato» sono solo alcune delle accuse rivolte ai rapper arabi dai governi conservatori e dagli estremisti religiosi, che, uniti, preferiscono evitare di trattare temi delicati, e considerano in ogni caso questo fenomeno semplicemente un’imitazione del mondo occidentale, perverso e miscredente. 

A volte le reazioni sono dure, come nel settembre del 2013 quando in Tunisia un tribunale ha condannato a sei mesi di detenzione il rapper tunisino Ahmad Bin Ahmad, conosciuto come Clay Bbj, con l’accusa di aver offeso la polizia e oltraggiato il decoro pubblico. 

Resta il fatto che una delle caratteristiche del rap è il rifiuto del potere assoluto e la non rassegnazione alle condizioni imposte; questo è uno dei motivi che ha spinto le nuove  generazioni arabe a scegliere un modo alternativo di esprimersi. In realtà, non si tratta di un’invasione occidentale, ma di una tendenza che si sta espandendo in tutto il Mondo, dove la musica rap si impone come genere musicale alla pari degli altri, diventando patrimonio artistico anche dei singoli Paesi.

 


 

Qualche suggerimento su artisti rap arabi
per chi volesse approfondire

 

Dam (Da Arabian MCs) 

Dam in arabo sangue, è il nome suggestivo del gruppo palestinese, formato nel 1999, e composto da tre giovani: Suhail, Samer e Mahmoud. Cantano in inglese, arabo, ed ebraico. Hanno scelto il rap per raccontare la loro realtà giovanile, denunciando discriminazione e razzismo, e la «maledetta trinità sociale»: disoccupazione, povertà e droga.
Il 2001 è stato l’anno della svolta, con il grande successo e più di un milione di visualizzazioni sul web del brano Chi è il terrorista?
Il primo album Ihdaa (Dedicato) è uscito nel 2007, mentre Nudbok al Amar (Balliamo sulla luna), secondo album del gruppo, è stato pubblicato nel 2012. Numerosi loro brani sono stati utilizzati in diversi film arabi e internazionali.

 

Al Saied Darwish (Hani Al Sawah)

Giovane siriano, nato nella città di Homs. Inizia come giornalista, ma poi decide di approdare al campo musicale e registra il suo primo brano nel 2006, senza sapere che sarà l’inizio della sua carriera. Nel 2008 duetta con il rapper Kay Lead, e nel 2009 incontra il musicista Sham Amsiz, e incidono insieme il primo album rap siriano Kalimat Mutakatea (Cruciverba). Oggi fa parte del gruppo musicale Latlate (Pettegolezzi).

 

Al Rass (Mazen Al Saied)

Inizia giovanissimo a scrivere poesie. Dopo aver studiato musica orientale a Parigi, torna in Libano e forma il gruppo musicale orientale Ahel AlHawa (Gente d’amore), e allo stesso tempo prosegue la sua carriera di rapper. Dopo il grande successo del suo primo brano Aghlabiyeh Samta (Maggioranza Silenziosa), in collaborazione con altri musicisti, pubblica il primo album: Kashf AlMahjub (Svelare l’arcano) e decide di utilizzare il web per diffondere il più possibile i suoi brani. 

 

* Naman Tarcha è giornalista e conduttore tivù. Siriano di Aleppo, laureato in Comunicazione alla Pontificia Università Salesiana di Roma, vive e lavora da anni in Italia. Ricercatore ed esperto di mass media e cultura araba.

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