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Yemeniti verso casa

di Giuseppe Caffulli
16 dicembre 2013
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Era già capitato, con esiti nefasti, nel 1990-91, quando vennero espulsi in poche settimane circa 800 mila lavoratori yemeniti dall’Arabia Saudita. Allora le motivazioni (ufficiali) erano legate alla Guerra del Golfo. Ora le ragioni sembrano essere prettamente di carattere economico. Fatto sta che dal giugno scorso sono stati rimpatriati circa 200 mila lavoratori yemeniti...


Era già capitato, con esiti nefasti, nel 1990-91, quando vennero espulsi in poche settimane circa 800 mila lavoratori yemeniti dall’Arabia Saudita. Allora le motivazioni (ufficiali) erano legate alla Guerra del Golfo, nella quale Yemen e Arabia Saudita si trovarono schierati su due fronti opposti (Sana’a con l’Iraq di Saddam Hussein, Riyhad con Usa e Gran Bretagna). Ora le ragioni sembrano essere prettamente di carattere economico. Fatto sta che dal giugno scorso alla fine di quest’anno sono stati rimpatriati circa 200 mila lavoratori yemeniti, almeno a dar credito alle stime dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). E il governo di Sana’a teme che nei prossimi mesi altri 400 mila connazionali possano essere riaccompagnati alla frontiera (piuttosto labile, in verità) che segna il confine tra i due Paesi.

La ragione di questo rimpatrio, a detta del governo saudita, è determinata dalla necessità di non penalizzare nel mercato del lavoro interno i cittadini del regno, di fronte ad una crisi economica che morde anche a quelle latitudini. Dal marzo scorso, la polizia saudita ha messo in atto una serie di controlli a tappeto per scovare i clandestini, che tengono in piedi a dire il vero ampi settori dell’economia locale (dalle costruzioni al piccolo commercio). Per gli yemeniti l’emigrazione legale o illegale in Arabia Saudita è da sempre la soluzione più immediata alla situazione di povertà endemica che attanaglia il Paese. E alla disoccupazione, se è vero che metà della forza lavoro risulta disoccupata.

Le decisioni saudite di rispedire al mittente i migranti yemeniti sta avendo una pesantissima ripercussione sull’economia già fragile dello Yemen e sui precari equilibri politici interni, dopo che il Paese ha attraversato una crisi gravissima, con il passaggio di potere dal rais Saleh al suo vice Abd Rabbo Mansur Hadi. Non va dimenticato che stiamo parlando di un «osservato speciale» per via della conclamata presenza sul territorio di organizzazioni legate ad al Qaida.

La situazione che si sta determinando nello Yemen, a causa del rimpatrio forzato dei lavoratori, è grave: migliaia di famiglie dipendono dalle rimesse che giungono dall’altra parte della frontiera. Negli scorsi mesi è andata aumentando in maniera esponenziale la povertà, fino a superare in alcune zone il livello di sussistenza.

Le organizzazioni umanitarie che si stanno occupando dei rimpatriati hanno raccolto molte testimonianze anche di abusi e sopraffazioni subite da parte dei datori di lavoro sauditi, molti dei quali hanno per lungo tempo costretto in semi-schiavitù i lavoratori yemeniti (per esempio sequestrando loro i documenti).

Oggi ci sarebbero in totale circa 9 milioni di lavoratori migranti in Arabia Saudita: bangladesi, yemeniti, eritrei, etiopi, somali, egiziani, indiani, filippini. Per molti cittadini di Sana’a, una volta in patria, l’unica possibilità per offrire un sostentamento alla propria famiglia è di affidarsi nuovamente alle bande che gestiscono l’ingresso illegale in Arabia Saudita, per raggiungere il Paradiso più a portata di mano. 

(Twitter: @caffulli)

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