Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia

Alla ricerca di nuovi equilibri

di Elisa Ferrero
9 settembre 2013
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Con più di duemila dirigenti, di alto e medio livello, incarcerati, in Egitto la Fratellanza Musulmana è decapitata e le proteste dei sostenitori di Mohammed Morsi stanno lentamente scemando. Ci si chiede se la Fratellanza riuscirà a sopravvivere a quest’ondata di repressione, e se sì, in che modo. Anche il sostegno sostanzialmente acritico che la maggioranza degli egiziani ha accordato all’esercito suscita interrogativi sul presente e sul futuro del Paese.


Con più di duemila dirigenti, di alto e medio livello, incarcerati, la Fratellanza Musulmana è decapitata e le proteste dei sostenitori di Mohammed Morsi stanno lentamente scemando. Ci si chiede se la Fratellanza riuscirà a sopravvivere a quest’ondata di repressione, e se sì, in che modo. In realtà, non è la prima volta che il gruppo si trova vicino all’estinzione. Era già successo negli anni Cinquanta per mano di Gamal Abdel Nasser, il quale, dichiarandone l’illegalità, aveva causato la sua entrata in clandestinità fino al 2011. Tutt’altro che sconfitta, la Fratellanza si era organizzata, proseguendo le proprie attività segretamente e imparando a sopravvivere nell’ombra, con i ranghi serrati. Sembra improbabile, dunque, che la scure che oggi si abbatte sui Fratelli Musulmani e sui loro alleati possa davvero decretarne la fine, o suscitare una loro evoluzione democratica.

Tuttavia, questa volta è in gioco un fattore nuovo: la Fratellanza deve far fronte anche al rifiuto della popolazione, un’avversione mai riscontrata prima. Si è sempre detto e ripetuto che il massimo punto di forza della Fratellanza era il suo forte radicamento nella società, ma negli ultimi due anni tutto è cambiato, questo radicamento è stato profondamente scalfito. La popolazione, in realtà, non si è ribellata all’uso della religione nella politica di per sé. Infatti, è certo che la religione giocherà ancora un grande ruolo nella vita pubblica e il dibattito sulla nuova Costituzione permetterà di comprendere quanto. Gli egiziani si sono invece ribellati all’interpretazione che i Fratelli Musulmani e altri islamisti, con parole e azioni, hanno dato dell’islam: una religione-identità, uniformante, discriminante e avvertita, in fin dei conti, come unicamente al servizio della rete di lealtà della Fratellanza stessa. È forse la prima volta che si assiste a un’opposizione così diffusa e determinata al progetto islamista in una società a maggioranza musulmana, e questa è la buona notizia.

La cattiva notizia è che quest’opposizione ha prodotto la reazione violenta delle frange islamiste più estremiste, che purtroppo non può essere affrontata senza l’intervento di polizia ed esercito. Dal Sinai arrivano poche notizie confuse, tuttavia sembra chiaro che è in corso una vera e propria guerra con i gruppi jihadisti là annidati. Nell’Alto Egitto, terra di cristiani e di islamisti, questi ultimi spadroneggiano in diverse zone, fino a controllare interi villaggi (l’Associated Press, per esempio, ha raccontato la storia di Dalga, ormai in mano agli islamisti locali). La polizia qui è latitante, spesso sopraffatta. Anche nei quartieri poveri dei principali centri urbani, secondo molte testimonianze, si deve quasi quotidianamente far fronte a milizie armate che scorrazzano seminando il terrore. E questa settimana sono iniziati gli attentati che riportano la memoria ai non così lontani anni Novanta, periodo nel quale i gruppi jihadisti (fra i quali al-Gamaa al-Islamiya, ora alleata della Fratellanza Musulmana) avevano scatenato un’ondata di attacchi contro il regime di Hosni Mubarak (e che in realtà colpivano soprattutto il turismo e la popolazione).

Mai come oggi è stato così chiaro che l’Egitto sta combattendo una dolorosa battaglia per il controllo del proprio territorio, sia in Sinai, sia nei vicoli dei quartieri poveri, sia nei villaggi del sud. In queste condizioni, quindi, non stupisce il sostegno sostanzialmente acritico che la maggioranza degli egiziani ha accordato all’esercito, scivolando in molti casi in una nuova, pericolosa forma di nasserismo, che ha adottato come icona il generale Abdel Fattah el-Sisi. Come chiedere la riconciliazione in questa situazione? Il vice premier Ziad Bahaa el-Din, figura vicina alla rivoluzione del 25 gennaio 2011, ci ha provato, ma la sua proposta, finora, è passata sotto silenzio.

Tuttavia, il prevalere di una politica securitaria e l’estensione delle leggi di emergenza significano che diritti e libertà di tutti sono a rischio. Ci sono già preoccupanti segnali in tal senso, con l’arresto di un giornalista in Sinai che copriva le operazioni militari nella zona e di un avvocato per i diritti dei lavoratori appartenente ai Socialisti Rivoluzionari, ora liberato, che fra l’altro ha la terribile colpa di portare la barba. La generazione che ha portato il Paese in piazza nel gennaio 2011 è consapevole di questi rischi. Saprà resistere ancora una volta?

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