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Tammam Azzam e la sete di libertà del popolo siriano

Carlo Giorgi
7 maggio 2013
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Tammam Azzam e la sete di libertà del popolo siriano
Tammam Azzam

In Siria non è in atto una guerra civile ma una lotta di liberazione. È questo il messaggio di Tammam Azzam, giovane artista siriano (nato a Damasco nel 1980), le cui opere sono esposte per la prima volta in Italia, fino al 10 maggio, a Milano. «Voglio consacrare la mia arte alla denuncia di ciò che accade al mio popolo», spiega Tammam.


(Milano) – Denunciare la violenza del regime attraverso l’arte. È questa la missione scelta da Tammam Azzam, giovane artista siriano (nato a Damasco nel 1980), le cui opere sono esposte per la prima volta in Italia, fino al 10 maggio, a Milano.

«Io sono un artista, non un politico, tutta la mia vita l’ho passata disegnando e dipingendo – racconta Tammam -. La gente in Siria però viene uccisa e io mi ritrovo impotente… Davvero, un artista in questa situazione non può fare nulla. Quel poco che posso fare per la rivoluzione, tuttavia, è di consacrare la mia arte alla denuncia… Ho fiducia che il popolo siriano riuscirà a prendersi la libertà a suo modo e come si merita».

Intervistiamo Tammam in occasione dell’inaugurazione della mostra Creative Syria, in cui sono esposte opere di artisti e creativi siriani che denunciano gli orrori che da più di due anni sta subendo il popolo siriano. Nel 2011 Tammam si trova in Siria dove partecipa alle prime proteste popolari; alcuni mesi dopo l’inizio della rivoluzione, nell’ottobre 2011, decide di trasferirsi per un breve periodo a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti. Ma il precipitare degli eventi gli fa presto capire di non potere più tornare in patria. Così Tammam oggi vive un difficile esilio volontario: «A Dubai non avevo un posto dove lavorare come in Siria – racconta Tammam –: è stato lì che ho deciso di dedicarmi alla digital art, anche con l’idea di diffondere in Internet, il più possibile, i miei lavori di denuncia. Esponendomi nel puntare il dito contro le violenze del regime».

Quasi tutti sono d’accordo nel dire che in Siria si stia combattendo una guerra, definita ormai dagli analisti una «guerra civile» o una «guerra religiosa». Tammam ha, invece, un punto di vista radicalmente diverso: «Non si tratta di una guerra, innanzitutto! E non è una guerra civile – ripete con decisione in più momenti dell’intervista –. Io sono un siriano, ho trascorso tutta la mia vita in Siria, e conosco bene il popolo siriano. Questa è solo una guerra contro il popolo siriano. È una rivoluzione per la libertà. Se i media vogliono continuare a dire che si tratta di una guerra civile, facciano pure… Sono convinto che alla fine il popolo siriano si prenderà la sua libertà».

Nell’esposizione allestita in questi giorni a Milano, spicca la collezione di Tammam Azzam dal titolo Syrian Museum, frutto del lavoro degli ultimi due anni dell’artista. Il comune denominatore di questi lavori è il lacerante contrasto tra le immagini della distruzione siriana e i capolavori dell’arte occidentale uniti, in modo stridente, sulla stessa tavola.

Lei accosta espressioni dell’arte occidentale a scene di devastazione in Siria. Che cosa intende comunicare con questo contrasto?
Mi sorprende sempre vedere come molti, in tutto il mondo, abbiano a cuore l’arte e la sua componente umana – spiega Tammam –; però, spesso, quelle stesse persone non si lasciano scalfire nella morte di centinaia e centinaia di persone, uccise ogni giorno. Da questa mia indignazione nasce la collezione Syrian Museum: in uno di questi quadri, ad esempio, metto il paesaggio desolante di una città siriana distrutta come sfondo alla Monna Lisa di Leonardo da Vinci. Qual è il mistero dello sguardo della Monna Lisa? E qual è il mistero della Siria di oggi? Quale dei due misteri è davvero più importante? O ancora, in un altro quadro della collezione inserisco in un contesto siriano attuale, l’opera di Francisco Goya sulla strage del 3 maggio 1808. Mi domando: come è possibile che ci sia, a questo mondo, chi si mette in viaggio per andare ad ammirare il capolavoro di Goya che ricorda la strage del 3 maggio di due secoli fa, mentre noi abbiamo una «strage del 3 maggio» ogni giorno. La verità è che a nessuno interessa cosa avviene in Siria. Quello che voglio dire è: vergogna, gente! Guardate cosa succede! Ogni giorno vengono uccise persone innocenti e nessuno vuol fare nulla. È veramente una cosa tremenda. La mia è una provocazione, perché l’arte purtroppo non può impedire le uccisioni».

Ha notizia delle condizioni in cui versano le opere d’arte e i resti archeologici in Siria?
Anche questo mi scandalizza: sono davvero stupito che la gente, in Occidente, si preoccupi dei monumenti e delle opere d’arte distrutte in Siria: tutte quelle pietre non valgono la vita di un bambino ucciso. Come fate ad essere interessati alle moschee, alle rovine archeologiche, a Palmira? Facciamo in modo che smettano di uccidere la gente e poi parliamo delle rovine…

Lei vive in una condizione di esilio. Come stanno la sua famiglia e gli amici in patria?
Dai miei amici e dalla famiglia giungono notizie solo cattive. Ogni siriano in media può contare cinque, dieci persone care uccise o in prigione. Sono contro la violenza ma alla fine capisci chi ricorre alle armi. Se qualcuno viene a casa tua ogni giorno per uccidere la tua famiglia, alla fine prendi in mano le armi.

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