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L’intensità della Pasqua ortodossa

di Giuseppe Caffulli
8 maggio 2013
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Le strade della Gerusalemme vecchia sono messe a dura prova dalla Pasqua ortodossa. Gruppi di pellegrini occidentali, americani con camice bianche e cappelli color cachi, italiani vocianti, polacchi in preghiera, francesi attoniti, tedeschi perplessi. Guardano sconcertati l’assalto dei fedeli ortodossi al più importante santuario cristiano di Gerusalemme. E non capiscono...


Venerdì della Settimana Santa ortodossa. Nelle strade di Gerusalemme c’è una folla come raramente capita di vedere. All’inizio della via Dolorosa, fin dal primo mattino, si assiepano schiere di cristiani etiopi, per la maggior parte donne coperte dai bianchi shamma (i tradizionali scialli). Tutti pregano in silenzio, composti, in attesa di incolonnarsi verso la basilica. Più avanti, verso l’arco dell’Ecce Homo, iniziano ad accalcarsi i russi, con le pesanti croci di legno. Sono sempre più numerosi. Stazionano anch’essi silenziosi, quasi immersi in una sorta di trance. Dalla porta dei Leoni, in lontananza, arrivano alla spicciolata gruppi di copti egiziani.

È un giorno decisamente particolare. Come particolari saranno le ore a seguire: dopo la celebrazione della morte sul Calvario e la sepoltura, la grande veglia pasquale, con la cerimonia del Fuoco santo, antichissima e contornata da un alone di mistero. Il patriarca bizantino – lui solo – entra nell’edicola del Sepolcro per ricevere, si dice miracolosamente, il fuoco della vita che sarà poi propagato ovunque.

La ressa, all’incrocio della Quarta stazione della Via Crucis, freme. E inizia a spingere verso la basilica del Sepolcro. Gli etiopi si affrettano a guadagnare il tetto della basilica, dove sosteranno incuranti del sole e del caldo per festeggiare, con l’alba, la risurrezione del Cristo che vince la morte. I copti, frastornati dalla calca, si insinuano tra le viuzze e cercano di raggiungere il sagrato della basilica attraverso il Muristan, il mercato ottomano.

Ma è il momento dei russi, con i loro pope nerboruti. Iniziano a intonare canti e ad elevare preghiere, per poi infilarsi con forza tra le pareti di pietra del vecchio cardo massimo, spinti da una foga inaudita. Vengono, la gran parte, da sette settimane di digiuno quaresimale e da messe che iniziano all’alba, a sottolineare i momenti particolari della Grande Settimana secondo la liturgia ortodossa.

Per raggiungere la basilica del Santo Sepolcro, dove alcuni resteranno fino alla veglia pasquale, hanno affrontato lunghi viaggi. Molti cristiani ortodossi (rumeni, greci, bulgari, ucraini, oltre ai russi) resteranno fuori. Ritenteranno l’indomani, quando la polizia avrà chiuso la città vecchia e cercherà di regolare con transenne e spintoni il flusso dei tanti, troppi fedeli, al Sepolcro.

Gruppi di pellegrini occidentali, americani con camice bianche e cappelli color cachi, italiani vocianti, polacchi in preghiera, francesi attoniti, tedeschi perplessi, guardano sconcertati l’assalto degli ortodossi al più importante santuario cristiano di Gerusalemme. E non capiscono. Trasecolano per l’irruenza e la passione, si scandalizzano per la manifestazione di una fede che è tutta nella carne, si estraniano al passaggio delle lunghe teorie di suore in nero velate, donne con scialli e foulard, omaccioni con croci tatuate ed esili fanciulle bionde con grandi mazzi di fiori. La storia ha scavato fossati e mischiato le carte anche tra popoli fratelli nella fede. Dei quali ignorano praticamente tutto, osservandoli, con una punta di commiserazione, con l’occhio di chi si crede superiore.

(Twitter: @caffulli)

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