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Netanyahu esce indebolito dalle elezioni anticipate israeliane

Giampiero Sandionigi
23 gennaio 2013
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Le politiche di ieri in Israele hanno smentito un drastico spostamento a destra dell'elettorato. Dalle urne escono rafforzate le posizioni di centro e di sinistra. A destra la formazione del premier Netanyahu perde seggi. Vince ma non sbaraglia il partito di Naftali Bennett, contiguo ai coloni. L'uomo del giorno è Yair Lapid.


(Milano) – Aveva fatto male i suoi conti il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Nell’ottobre scorso si decise a indire le elezioni anticipate – mettendo la parola fine a un’esperienza di governo sorretta da una coalizione sempre più precaria con i partiti della destra religiosa – scommettendo sulla possibilità di uscire personalmente rafforzato dal voto.

Il 22 gennaio scorso invece gli elettori hanno votato diversamente, smentendo anche sondaggi e analisti che prefiguravano un deciso spostamento a destra dei consensi. Oltre due terzi degli aventi diritto si sono presentati alle urne per scegliere tra un’ampia rosa di 34 partiti. Non tutti hanno ottenuto i consensi necessari per superare la soglia di sbarramento del 2 per cento. I risultati non ancora ufficiali diffusi all’indomani del voto mostrano come nella diciannovesima legislatura della Knesset il blocco di centro-destra e quello di centro-sinistra avranno praticamente lo stesso numero di deputati: 61 il primo e 59 il secondo (se non addirittura 60-60).

A destra l’alleanza elettorale tra il Likud di Netanyahu e lo Yisrael Beitenu di Avigdor Lieberman – il ministro degli Esteri costretto alle dimissioni in dicembre dopo un’incriminazione per frode e abuso d’ufficio – non ha funzionato. Il Likud Beitenu ha guadagnato 31 seggi, ben 11 in meno rispetto a quelli che i due partiti avevano nel Parlamento uscente.

Ha sorpreso tutti l’exploit del partito Yesh Atid («C’è un futuro») fondato pochi mesi fa dal mezzobusto televisivo di Canale 2, Yair Lapid: è arrivato secondo e si aggiudica 19 seggi (i sondaggi più benevoli gliene attribuivano 12). Il partito centrista ha fatto una campagna attenta ai temi economici ed è stato in grado di intercettare le preoccupazioni e i malumori della classe media che si misura con la crisi economica. Inquietudini emerse nel corso del 2011 anche in manifestazioni di piazza giovanili, che il governo in carica non ha saputo ascoltare adeguatamente.

Sorride la sinistra: i laburisti si affermano con 15 seggi (gliene erano rimasti 8 a fine legislatura dopo le defezioni di alcuni deputati). L’estrema sinistra di Meretz passa da 3 a 6 deputati, Hadash riconferma i suoi 4 seggi. Non guadagnano terreno i partiti arabi, nonostante i ripetuti appelli rivolti ai palestinesi israeliani a non disertare le urne: 5 seggi vanno alla Lista araba unita-Ta’al e 3 a Balad.

Al centro, Hatnuah – la nuova formazione di Tzipi Livni – guadagna 6 seggi. Va estinguendosi Kadima, a cui restano solo due deputati (ne aveva 28).

Nel campo della destra il principale antagonista di Netanyahu ottiene un ottimo risultato, ma non sbaraglia: Naftali Bennett leader di HaBayit HaYehudi, partito contiguo al movimento dei coloni, si porta a casa 11 seggi (ne aveva 3), il minimo tra quelli che i sondaggi gli assegnavano.

Shas mantiene gli 11 deputati che già aveva, mentre cresce Giudaismo Unito nella Torah (7 seggi ne aveva 5).

A caldo la leader laburista Shelly Yacimovich s’è detta pronta a cercare di costruire una coalizione di governo alternativa alle destre. Impresa ardua, che potrebbe riuscire solo convincendo uno dei partiti religiosi a smarcarsi da Netanyahu (ma a fronte di quale contropartita?).

È più probabile, se non certo, che il premier uscente ottenga per la terza volta la guida del governo. Commentando i primi exit poll che certificavano il suo indebolimento, largamente previsto nei sondaggi, «l’uomo forte per un Israele forte» ha dichiarato di voler formare una nuova coalizione di governo la più ampia possibile. Alcuni analisti scommettono che Yair Lapid accetterà di far parte di un governo a guida Netanyahu. Una sfida che potrebbe anche stritolare un partito neonato, costretto a sottoscrivere le misure di austerità che il nuovo esecutivo si troverà, probabilmente, a dover varare.

Gli esiti della tornata elettorale lasciano anche aperta qualche domanda sulla leadership di Netanyahu all’interno del Likud. La sua strategia elettorale si è rivelata un fallimento per il partito; gli altri dirigenti potrebbero chiedergliene conto e magari anticipare la corsa alla successione.

Quanto alla politica estera e di difesa israeliana, Netanyahu la sera del 22 gennaio ha ribadito che la priorità delle priorità resta assicurare la sicurezza dello Stato ebraico e contrastare la minaccia iraniana. Su questo versante l’esito del voto non indurrà il benché minimo cambiamento di linea politica?

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